Ristorni dei frontalieri: svendere il Ticino per un piatto di lenticchie? Anche no
Come scontato, lunedì i soldatini della partitocrazia al Consiglio degli Stati hanno approvato quasi all’unanimità il nuovo accordo con il Belpaese sulla fiscalità dei frontalieri. La stragrande maggioranza dei citati politicanti il Ticino l’ha visto forse in fotografia. E non ha la più pallida idea di cosa significhi essere quotidianamente invasi da 75mila frontalieri in continuo aumento. Quindi, che lor$ignori della casta spalancatrice di frontiere non si azzardino a presentare il nuovo accordo come un favore al Ticino. La realtà è un’altra.
Segreto bancario
Come ben sappiamo il nuovo accordo andrebbe a sostituire la vetusta Convenzione del 1974: quella che ha introdotto i famosi ristorni. Detta Convenzione era il prezzo (pizzo) che la Svizzera acconsentì a pagare all’Italia affinché quest’ultima riconoscesse il segreto bancario elvetico. Ma da anni ormai, nei confronti dei paesi esteri, il nostro segreto bancario non esiste più. Di conseguenza la Convenzione ha perso la propria ragione di esistere. E con lei i ristorni.
Il Lussemburgo
Va pure considerato che dal 1974 è cambiato il mondo. Ai tempi, la devastante libera circolazione delle persone era al di là da venire. Il fenomeno del frontalierato aveva una portata nettamente inferiore. L’accordo sulla fiscalità dei frontalieri con l’Austria è stato sottoscritto nel 2006, quindi dopo l’entrata in vigore della libera circolazione. Il tasso di ristorno è del 12.5%. Nettamente inferiore al 38,8% concesso all’Italia.
C’è di più: il Lussemburgo, Stato membro UE, non riversa alcunché a Germania e Francia per i frontalieri attivi sul proprio territorio. Questo perché il granducato applica in modo rigoroso il principio secondo cui il reddito viene tassato nello Stato dove è prodotto. Per quale cavolo di motivo, dunque, la Confederella – che della fallita UE non fa parte – dovrebbe essere più generosa? Gli svizzerotti hanno forse scritto “giocondo” in fronte?
Servizi finanziari
Non abbiamo alcun motivo per fare regali all’Italia. Basta e avanza la devastante libera circolazione delle persone, voluta dalla partitocrazia triciclata. Essa ha reso il Ticino “la più grande industria lombarda”. Lo ha dichiarato in una recente intervista il presidente del Consiglio regionale della Lombardia.
Non solo: nei nostri confronti, l’Italia è (e rimane) inadempiente su vari fronti. Ad esempio l’accesso degli operatori finanziari svizzeri al mercato tricolore. Accesso che non è dato: la Penisola pretende l’obbligo di succursale. Ed è una scelta deliberata. Obbligo di succursale significa: posti di lavoro ticinesi trasferiti oltreramina. Quindi inaccettabile per noi. La famosa road map del 2015 prevedeva ben altro. E che dire – ad esempio – dei reiterati inquinamenti del Ceresio? E dei costi della mobilità dei permessi G, che gravano interamente sul groppone ticinese? Per questo la Lega insisterà, malgrado i njet del triciclo, nel perorare l’introduzione di una tassa d’entrata per i frontalieri.
Chi ci guadagna, dunque, dal nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri? In prima linea l’Italia. Che incasserebbe centinaia di milioni di euro di imposte in più ogni anno.
Campa cavallo
Il nuovo regime fiscale per i frontalieri – senza più ristorni, ma con Svizzera ed Italia che si spartiscono la torta dell’imposta alla fonte: il Ticino incasserebbe l’80% e l’Italia il 20% – si applicherebbe solo ai nuovi frontalieri. Ovvero a quelli assunti dopo il 2023. Tutti gli altri andrebbero avanti fino alla pensione con il sistema attuale. In questo modo l’effetto delle nuove regole viene clamorosamente annacquato. I frontalieri attivi in Ticino sono già 75mila: una cifra insostenibile. Quanti si pensa di farne entrare ancora? Il graduale ricambio (tramite pensionamenti) necessiterà di tempi lunghissimi.
C’è di peggio: i ristorni verrebbero a cadere solo nel 2034. Quindi tra 13 anni. In politica sono un’eternità. Prima di allora, può succedere di tutto. Nel frattempo, la quota del ristorno salirà dall’attuale 38.8% al 40% e verrà abrogata la legge cantonale che fissa al 100% il moltiplicatore d’imposta dei frontalieri: esso scenderà di conseguenza all’80%.
Traduzione: fino al 2034 il Ticino con il nuovo accordo ci perderà. Poi forse (per la serie: campa cavallo…) guadagnerà qualcosa. Ah, ecco. Perfino i camerieri dell’UE in Consiglio federale reputano questa tempistica insoddisfacente. E’ tutto dire. E noi dovremmo farcela andar bene?
Spariscono i ristorni
Il nuovo accordo è quindi nell’interesse dell’Italia ed in quello di Berna. Questo non vuole però dire che sia “una figata pazzesca” anche per il Ticino. Anzi.
Al di là degli aspetti economici, Roma e Berna hanno in comune la volontà di far sparire i ristorni. I ristorni costituiscono infatti un potente mezzo di pressione nelle mani del Ticino. Il nostro Cantone può servirsene per farsi valere. Lo strumento è in grado di mettere in difficoltà Roma ed in imbarazzo Berna. Lo si è ben visto nel 2011, quando il governicchio cantonale, a maggioranza, decise di bloccare la metà dei ristorni. Il Ticino dovrebbe accettare di buon grado di rinunciare a questa potente arma in cambio di un piatto di lenticchie? Anche no.
Chi s’accontenta, gode?
La Convenzione del 1974 era nell’interesse di tutta la Svizzera; il prezzo, per mezzo secolo, l’ha pagato solo il Ticino. E continuerà a pagarlo fino al 2034. L’esempio del Lussemburgo citato sopra dimostra che al Belpaese non dobbiamo di per sé nulla. E di motivi per fare regali ai vicini a sud proprio non ne abbiamo.
Non c’è quindi ragione per cui il Ticino si dovrebbe accontentare di un trattato al ribasso come quello attualmente sul tavolo, i cui effetti si vedranno forse in un lontano futuro. In più, se il nuovo accordo diventerà realtà, l’accesso al mercato finanziario italiano ce lo possiamo definitivamente scordare. Così come pure la soluzione delle altre pendenze in sospeso (stralcio da liste nere, eccetera). Il Belpaese sosterrà di avere adempiuto ad ogni obbligo nei confronti della Confederella con il nuovo trattato sui frontalieri. I camerieri bernesi, ça va sans dire, se lo faranno andare bene.
Disdire la convenzione
Quindi, altro che accettare le briciole e magari anche ringraziare servili. Occorre invece disdire unilateralmente la Convenzione del 1974. E poi, se del caso, negoziare da una posizione di forza. Del resto l’ipotesi di una tale disdetta era stata formulata nel 2015 nientemeno che dall’ex ministra del 5% Eveline Widmer Puffo. Che di sicuro non era una leghista. O qualcuno se ne è già dimenticato?
Altre questioni
Ci sono anche altri temi che potremmo mettere sul tavolo delle trattative con i vicini a sud. Ad esempio, la garanzia che la Svizzera non solo verrà tolta dalla lista nera del 1999 su cui ancora figura, ma che non verrà iscritta in nessuna futura black list italica, magari a seguito del diverso carico fiscale. Potremmo pure proporre una tassazione differenziata (più elevata) per i frontalieri che guadagnano di più, pensando in particolare a quelli che fanno i dirigenti nel settore terziario. Costoro infatti non solo si sostituiscono ai ticinesi, ma assumono unicamente connazionali (colonizzazione). La lista delle possibili trattande è lunga! Perché dovremmo bruciarcela tutta in cambio di un accordicchio-ciofeca?