Sentire che il Consiglio di Stato non esclude a priori di procedere ad aggravi fiscali suscita sconcerto, e molto. A parte il fatto che ci sono tonnellate di libri che dicono che non si aumentano le tasse in periodi di crisi economica, è un dato di fatto che la competitività fiscale del Ticino è ormai ridotta ai minimi termini. Siamo tra gli ultimi della classe a livello nazionale. Questo significa non solo che siamo poco o nulla attrattivi per nuovi, buoni contribuenti, ma che rischiamo di perdere quelli attuali. In Ticino il 2% dei contribuenti paga il 27% delle imposte di pertinenza delle persone fisiche. E’ una situazione evidentemente a rischio: basta che qualcuno parta e le casse si svuotano.
Se il Ticino non è più attrattivo fiscalmente non è per caso o per sfortuna, ma perché sconta oltre un decennio di immobilismo fiscale. Un decennio durante il quale gli altri Cantoni, diversamente da noi, si sono mossi.
Il freno automatico all’indebitamento è nient’altro che un sotterfugio per aumentare le imposte. Visto che di riduzioni della spesa pubblica non se ne fanno perché non è politicamente pagante, si finirebbe per andare ad aumentare le entrate non già trovando nuovi, buoni contribuenti, ma penalizzando quelli attuali ed in particolare il ceto medio. Vale a dire, quello più facile da colpire. Quello che paga le tasse fino all’ultimo centesimo e non può procedere ad operazioni di ottimizzazione. Come può una società pensare di rafforzarsi andando ad indebolire sistematicamente proprio quella categoria che costituisce la sua spina dorsale? E’ una strada pericolosa, oltre che sbagliata.
Il Ticino non ha un problema di entrate fiscali, e quindi non è a questo livello che occorre intervenire. Il Ticino ha invece un problema di spesa pubblica che è cresciuta da 2.9 a 3.5 miliardi negli ultimi sei anni. Il problema è che la spesa non è cresciuta per creare lavoro e per far girare l’economia. La libera circolazione delle persone ha generato disoccupazione e quindi necessità di versare prestazioni assistenziali. Quindi aumento della spesa e diminuzione del gettito. La a scellerata capitolazione federale in materia di piazza finanziaria, giustificata con la presunta ineluttabilità dello smantellamento del segreto bancario, sta portando e porterà un crollo delle entrate. Anche gli enti pubblici ne subiranno le drammatiche conseguenze, non solo i bancari che verranno licenziati.
Che non si potesse fare altrimenti, è l’ennesima favola. Anche vent’anni fa, prima della votazione sullo Spazio economico europeo, si diceva che non c’erano alternative all’adesione, ed invece si è visto che le cose stavano ben diversamente. Quando un governo dice che “non ci sono alternative” vuol solo dire che non ha argomenti razionali per giustificarsi. E allora punta sulle minacce.
Dove si pensa di andare a prendere i soldi che mancheranno dal gettito della piazza finanziaria (non solo le imposte pagate delle società, ma anche quelle pagate dalla gente che vi lavora)? Forse andandoli a prelevare, ancora una volta, dalle sempre più esauste tasche del ceto medio?
La desolante sensazione è che non ci siano né strategie di rilancio economico, né di difesa delle risorse esistenti e neppure di tutela del mercato del lavoro dalla libera circolazione delle persone che fa diminuire l’occupazione e dunque il gettito – sia delle persone che delle aziende.
Intollerabile poi la pomposa minaccia governativa, all’indirizzo del contribuente, delle “lacrime e sangue”. Come se il cittadino ticinese avesse finora fatto la bella vita con soldi rubati. Le “lacrime e sangue” troppi ticinesi “senza santi in paradiso” le versano già da un pezzo, confrontati con impoverimento, precarizzazione, disoccupazione. Ma evidentemente tale circostanza a qualcuno sfugge. E questa situazione non è davvero colpa di nessuno? Oppure qualcuno ha colpevolmente mancato nel difendere le nostre condizioni quadro e le fonti del nostro benessere? Magari per paura di qualche rampogna internazionale? E adesso questo qualcuno invece di rimediare vorrebbe accanirsi sul contribuente?
Lorenzo Quadri