La SECO, segretariato di Stato dell’economia, è il classico esempio di ufficio federale che non serve a risolvere i problemi, bensì a negarli ad oltranza.
L’ultima sortita secondo cui con la libera circolazione delle persone andrebbe tutto a gonfie vele anche ed in particolare in Ticino, è la dimostrazione più eclatante, essendo in totale contraddizione con la realtà. Ma non è certo l’unica con cui il nostro Cantone ha dovuto e deve fare i conti.
Infatti già quando emerse con prepotenza, per la prima volta, la questione delle liste nere illegali a seguito delle quali alle aziende svizzere che operano Italia, alla faccia degli accordi bilaterali, viene imposta ogni sorta di limitazione, la SECO negò che esistesse il problema.
Immaginiamoci la scena: un servizio federale, pagato dai contribuenti per correggere le situazioni distorte, invece di sostenere le aziende svizzere indebitamente penalizzate, va a raccontare a chi di queste situazioni è rimasto vittima che non è vero niente: quindi che è un visionario.
Anche sui turisti cinesi fermati in dogana dall’Italia, l’atteggiamento iniziale era il medesimo.
Non dimentichiamoci poi la penultima sortita della SECO, quella sulle notifiche dei padroncini che devono rimanere online. In sostanza si tratta di continuare a stendere tappeti rossi all’invasione.
E perché le notifiche devono rimanere online? Ma perché levare questa possibilità, e quindi obbligare chi vuole notificarsi a farlo di persona ad uno sportello centralizzato, significherebbe violare la reciprocità. Come se in Italia fosse possibile notificarsi tramite internet.
Per non parlare poi dell’IVA che gli artigiani UE non pagano su prestazioni eseguite in Svizzera del valore inferiore a 10mila Fr, mentre quelli elvetici la pagano eccome.
Eh già, visto che non bastava che padroncini e ditte estere (italiane) potessero fare, alle aziende ticinesi, concorrenza sleale non pagando da nessuna parte tasse né oneri sociali, e nemmeno pagando stipendi elvetici (se del caso il salario versato secondo i nostri canoni viene immediatamente requisito dal datore di lavoro una volta rientrati in patria) bisognava pure avvantaggiarli con l’IVA. Questa esenzione viola sfacciatamente il principio della parità di trattamento. Quando si tratta di eventuali discriminazioni di aziende straniere, ecco che l’autorità federale è pronta ad intervenire fulminea. Se invece sono artigiani o ditte svizzere ad essere svantaggiati in casa propria, non si interviene adducendo scuse ridicole: ad esempio che farlo sarebbe “troppo complicato”!
E’ chiaro che qui si stanno travalicando i limiti del sostenibile. Anzi, questi limiti sono stati già travalicati da un pezzo.
La SECO nega l’esistenza delle devastanti conseguenze della libera circolazione delle persone?
Bene, vorrà dire che il Ticino dovrà arrangiarsi e difendersi da solo. Se i canali ufficiali sono chiusi, se ne useranno altri. Dovrà essere il nostro Cantone ad inventarsi, alla faccia della SECO, disposizioni che ostacolino la libera circolazione delle persone. Perché per noi è questione di capitale importanza.
Poi però da Berna che nessuno osi fare un cip. Le autorità federali hanno rifiutato di fare il proprio dovere e hanno pure tentato di farci passare per visionari? Hanno anteposto l’applicazione pedissequa ed autolesionista di trattati internazionali che siamo i soli a rispettare ai vitali interessi del Ticino e dei ticinesi? Adesso ne affrontino le conseguenze.
Lorenzo Quadri