Sergio Morisoli (Alleanza liberale) in occasione del primo giorno di scuola ha rilanciato il dibattito parlamentare sulla scuola privata.

Già il termine scuola privata è di per sé fuorviante. Si tratta infatti di scuole aperte a tutti; il servizio è indubbiamente pubblico. La definizione corretta sarebbe quindi quella di “scuola pubblica non statale”. Non è una distinzione di lana caprina.

La scuola pubblica non statale – che per comodità continueremo tuttavia a chiamare “scuola privata” – ha anche un’altra caratteristica. Costa molto meno di quella pubblica. In certi casi più o meno la metà (per qualche strano motivo, da alcuni anni nei consuntivi cantonali non vengono più dettagliati i costi per allievo nelle varie scuole medie).
 
E’ l’ennesima conferma che, quando l’ente pubblico fa una cosa, spende di più rispetto al privato – pensiamo ad esempio a quelle sedi scolastiche realizzate quali monumenti autocelebrativi dell’architetto, tanto paga Pantalone.

Nel trattamento riservato alle famiglie che si rivolgono alla scuola privata si nota un’incoerenza di fondo. E’ quella sottolineata da Morisoli nel suo atto parlamentare: i genitori degli allievi pagano le rette, ma contemporaneamente finanziano anche la scuola pubblica tramite le imposte. Da qui la proposta del deputato di rendere fiscalmente deducibili le rette in questione. Non si tratterebbe quindi di un sostegno alle scuole pubbliche non statali (al proposito i cittadini ticinesi hanno espresso un chiaro No nel 2001) ma di un riconoscimento a quelle famiglie che da un lato finanziano la scuola statale tramite le imposte ma, contemporaneamente, permettono all’ente pubblico di risparmiare rivolgendosi ad altri “erogatori di educazione”.

 Realisticamente,  parlare di sgravi fiscali in questo Cantone è eresia; parlare poi di sgravi a favore di chi iscrive i figli alla scuola privata è eresia al quadrato. Basti pensare che non si riesce neppure a rendere deducibili fiscalmente le spese occasionate dall’esercizio del volontariato: né a livello cantonale, e neppure a livello federale.

Tuttavia la proposta Morisoli  è coerente ed ha il vantaggio di evidenziare come la libertà di scelta della scuola oggi sia in realtà fittizia e riservata a chi si può permettere di pagare due volte per la stessa prestazione: retta dell’istituto privato e finanziamento della scuola pubblica tramite imposte. E’ la libertà di scelta “a senso unico” che prende purtroppo sempre più piede, anche in ambiti molto diversi tra loro. Pensiamo ad esempio alla proposta, a mio giudizio aberrante, di trasformare il canone radiotelevisivo in un balzello imposto a tutti, anche a chi non possiede apparecchi di ricezione. La libertà è solo quella di non usufruire: ma pagare è obbligatorio.

Una libertà di scelta meno fittizia, anche nel settore dell’educazione pubblica, tra “fornitori” statali e non statali, rientrerebbe in quei valori di libertà e responsabilità che stanno alla base del cosiddetto modello svizzero. Valori che però vengono progressivamente cancellati da uno Stato-balia, sempre più costoso, che si espande a scapito della libertà e responsabilità dei cittadini. Ed anche – ovviamente – del loro borsello.
Lorenzo Quadri
CN Lega