Ma chi l’avrebbe mai detto! Come scrivevamo la scorsa domenica, la vicina Penisola sta ancora tentando di far fessi gli svizzerotti con la telenovela degli accordi fiscali e la fetecchiata delle liste nere illegali.
Si ricorderà che in giugno la ministra del 5% Widmer Schlumpf ed il suo reggicoda de Watteville avevano dichiarato che la conclusione delle trattative fiscali con l’Italia era vicina. I membri della Deputazione ticinese alle camere federali, ricattati – per la serie: “se salta tutto sarà colpa vostra” – hanno ritenuto di farle fiducia consigliando al CdS di non bloccare i ristorni, non senza però aver strappato alla consigliera federale non eletta degli impegni concreti. La fiducia è stata malriposta, e lo si scopre ogni giorno che passa.
Ed infatti sono seguiti mesi di silenzio assai sospetto: cosa alquanto inusuale per una trattativa che dovrebbe essere ad un passo dalla conclusione. La puzza di bruciato era decisamente penetrante ed infatti, come da copione, si scopre che il bruciato c’è davvero. Il Consiglio federale rispondendo ad una domanda del consigliere nazionale PLR Giovanni Merlini non nega – quindi conferma – che
a) le trattative sono arenate e
b) l’Italia sta di nuovo facendo strani giochetti, con l’obiettivo di discriminare la Svizzera.
Normalizzazione?
E’ sempre più evidente che la vicina Penisola non intende affatto giungere ad una normalizzazione dei rapporti con la Svizzera, ma intende invece continuare a trattarci da Stato canaglia; senza però subire alcuna conseguenza per un simile atteggiamento, che è tutt’altro che da paese amico. Del resto alla storiella del “paese amico” crede ancora solo il Consiglio federale. O finge di crederci.
Ma i vantaggi…
Infatti da un lato l’Italia discrimina illegalmente la Svizzera; dall’altro però continua ad approfittare senza alcun ritegno del nostro paese. I fatti sono noti. La vicina Penisola ha violato la convenzione sui ristorni dei frontalieri, che era un pizzo pagato al Belpaese per il suo riconoscimento del nostro segreto bancario. Però continua ad incassare i ristorni. Però continua ad utilizzare il nostro paese come valvola di sfogo per la propria disastrosa crisi occupazionale. Senza alcun rispetto per il nostro mercato del lavoro e nemmeno per la nostra viabilità. E’ un vero e proprio assalto alla diligenza.
E però quando dal nostro paese vengono segnali chiari che così non va più – come il sostegno, ampio e trasversale, in Consiglio nazionale al postulato che chiede che i frontalieri vengano tassati con aliquote italiane – ecco che arrivano personaggi del calibro del sindaco di Lavena Ponte Tresa che credono di potersi permettere di salire sulle barricate.
Come se il Ticino non avesse il diritto di difendersi dall’invasione, dal soppiantamento dei propri lavoratori con stranieri in arrivo da Oltreconfine (con tutte le deleterie conseguenza sociali ed economiche del caso) e dal dumping salariale.
Il colmo
Il colmo è che, malgrado il segreto bancario sia stato svenduto senza contropartita dalla ministra del 5%, noi rimaniamo sulle liste nere. Plateale dimostrazione di malafede da parte degli amici peninsulari.
E’ chiaro che la misura è colma. Davanti ad una nuova discriminazione della Svizzera da parte italiana – scenario tutt’altro che ipotico, visto che il Consiglio federale “non smentisce” – deve giungere una risposta che sia finalmente concreta. Primo passo: denuncia immediata dell’accordo sui ristorni dei frontalieri.
Lorenzo Quadri