Questa volta la dirigenza della RSI l’ha davvero fatta grossa. I licenziamenti all’americana mostrano come, anche all’interno di un’azienda colonizzata dalla $inistra, imperversano i metodi del più bieco padronato antisociale. Non si è mai vista un’azienda pubblica, finanziata con i nostri soldi, che convoca senza preavviso collaboratori – anche di lunga o lunghissima data – comunica bruscamente la fine immediata del contratto lavorativo e li fa accompagnare alla porta dai servizi di sicurezza.
Il direttore ha mentito
Cosa ha scatenato il putiferio? La necessità di risparmiare poco più di 5 milioni a seguito dell’ormai famosa sentenza del tribunale federale sull’IVA. Ma il canone incassato è di 240 milioni. Non si sono dimezzati i fondi dall’oggi al domani. Eppure è stato il caos. Addirittura, il direttore di un’azienda che incassa il canone più caro d’Europa per fare informazione “oggettiva” ha mentito alla stampa. E poi il pubblico dovrebbe fidarsi dell’informazione della RSI?
Compiti non fatti
La radiotelevisione di sedicente servizio pubblico deve contare, per continuare ad esistere, sull’appoggio dei cittadini. Come dovrebbe guadagnarsi questo appoggio? In prima linea, come ogni azienda, facendo apprezzare il proprio prodotto. Un prodotto che il cittadino è peraltro costretto a pagare. Per questo la legge prevede delle garanzie: l’informazione finanziata col canone deve essere equidistante. Queste garanzie sono oggi disattese: la RSI non perde occasione per fare propaganda partigiana pro – frontiere spalancate e anti-Lega e Udc. E non è mica solo il Mattino populista e razzista a scriverlo. Il concetto è stato espresso, nero su bianco, anche sulle colonne del Corriere del Ticino; ma soprattutto, è stato certificato dagli utenti ticinesi che lo scorso giugno, quando si è trattato di votare sul canone obbligatorio, hanno asfaltato la RSI. Il No ticinese alla nuova LRTV è stato, certamente, un No ad un nuovo ed iniquo balzello. Ma è stato anche e soprattutto una bocciatura della RSI. Però l’azienda ha rifiutato il giudizio popolare. A tutt’oggi, va avanti come se “niente fudesse”. Nessuna traccia di autocritica. Pretende di avere sempre ragione. Ogni appunto è respinto con repliche stizzose. Lo stile è quello del “o con me, o contro di me”.
Datore di lavoro
La fiducia della maggioranza dei cittadini ticinesi nei confronti di quello che è il nucleo del mandato pubblico della R$I, ossia l’informazione al di sopra delle parti, è dunque evaporata. E si abbia almeno la decenza di evitare di squalificarsi ulteriormente tentando di colpevolizzare chi, come il Mattino, con risorse lillipuziane da anni segnala la partigianeria imperante a Comano e Besso.
Quali altri argomenti ha ora la RSI per convincere i ticinesi a schierarsi dalla sua parte? Il suo ruolo di importante datore di lavoro: 1100 posti non sono noccioline. Ma, trattando come dei delinquenti decine di collaboratori che hanno servito l’azienda per lunghi anni, la radiotelevisione pubblica butta a mare anche questo atout, e si rende odiosa all’opinione pubblica. Non c’è stato solo “un danno d’immagine”, come teme (?) il presidente CORSI Gigio Pedrazzini. L’immagine è proprio devastata. I vertici che hanno gestito così male la contingenza occupazionale hanno arrecato un danno incalcolabile all’azienda e quindi dovrebbero andarsene.
Di nuovo alle urne
Qualche taglio occupazionale non avrebbe suscitato scandalo se la RSI avesse avuto il buon senso di cominciare a lasciare a casa frontalieri, neo-permessi B, esponenti di gruppi familiari assunti in base al grado di parentela e protetti politici. C’è invece ben più che il sospetto che quanti rientrano in tali categorie siano invece ancora al loro posto. E certo non per meriti professionali.
Magari qualcuno, nei lussuosi uffici dirigenziali di Comano, avrebbe dovuto tener presente che l’iniziativa No-billag è riuscita. I cittadini svizzeri saranno chiamati a votare. Grazie allo scandalo dei licenziamenti all’americana, il Sì ticinese all’iniziativa diventa uno scenario sempre più probabile. E allora si salvi chi può…