La riuscita del referendum dei Comuni contro la professionalizzazione delle Tutorie, professionalizzazione che avrebbe conseguenze positive sulla gestione di temi delicati come i divorzi in presenza di minori, è difficile da epurare dal sospetto di autodifesa di casta degli avvocati radicali presidenti delle Commissioni tutorie. Il fatto che questa sia stata la prima battaglia della neonata Associazione dei comuni presieduta dal radicale Calastri non fuga i sospetti.
Lo stesso Calastri in un intervento sul CdT, rileva che i Comuni non sono disposti ad accettare supinamente aggravi di costo calati dall’alto. Nel caso concreto, la portata reale dell’argomento costi è ancora da valutare. Al di là di questo, è senz’altro vero che i Comuni non devono essere disposti ad accettare lo scaricabarile del Cantone, che è poi speculare allo scaricabarile della Confederazione sui Cantoni.
In particolare sappiamo bene che c’è un Comune che paga più di tutti e si tratta della Città di Lugano perennemente considerata non già come polo trainante, attrattore e fornitore di servizi a beneficio anche delle realtà circostanti (che però non li pagano e pertanto risparmiano) quindi come un’opportunità da coltivare, ma come realtà da frenare per non creare disparità (Gigio Pedrazzini dixit); o nella migliore delle ipotesi, come mucca da mungere.
La constatazione in base alla quale frenando chi tira il carro cantonale si danneggia tutto il Cantone non sembra passare in certi ambienti. Per questo Lugano giustamente rifiuta i 20 milioni di aggravio che il Consiglio di Stato vorrebbe appioppare ai Comuni nell’ambito del preventivo 2013 e rifiuta con altrettanta decisione l’indicazione al proposito dell’Associazione dei Comuni che vuole che la pillola sia modulata in base alla forza finanziaria. Questo significherebbe infatti penalizzare ancora di più la città di Lugano. La proposta dell’Associazione dei Comuni è quindi una proposta contro Lugano.
La città sul Ceresio, piaccia o non piaccia, versa 27 milioni di contributi di perequazione propriamente detta, senza che ci sia un controllo efficace sull’utilizzo di questi fondi. A ciò si aggiunge la perequazione sociosanitaria che, tra il dare e l’avere, si traduce in un’altra dozzina di milioni in più pagati da Lugano. Quindi la perequazione reale a carico di Lugano è di una quarantina di milioni.
Il criterio della forza finanziaria fa sì che, anche in ambito sociosanitario, Lugano paghi sproporzionatamente troppo rispetto a quello che ottiene. Ad esempio, se Lugano si facesse “in proprio” le cure a domicilio, risparmierebbe un paio di milioncini all’anno. Solo nel settore sociosanitario ci sono circa cinque milioni che ciurlano nel manico. Questa situazione deve venire affrontata, in barba al politicamente corretto (quindi, altro che nuovi aggravi!).
La città di Lugano sta facendo importanti sforzi in un contesto finanziario negativo per conservare il suo ruolo propositivo: ruolo ancora più necessario in periodo di crisi, in funzione anticiclica. Questi sforzi imporranno delle scelte. Perché ci saranno progetti, magari anche belli, che dovranno essere procrastinati, se non abbandonati, per non andare ad incidere su quelli che servono a far girare l’economia. Ma se per eccesso di avidità cantonale si azzopperanno anche i progetti con valenza economica, le conseguenze negative le sconterà tutto il Ticino.
Lorenzo Quadri