Il numero delle persone a beneficio di prestazioni assistenziali è aumentato in modo importante in Ticino dal 2011 a questa parte. Le statistiche pubblicate di recente dal Giornale del popolo parlano di un aumento del 37% con oltre 7500 domande d’assistenza sociale attualmente aperte.
L’aumento si nota anche a Lugano, anche se non in queste proporzioni (ci si aggira su un più 24% dal 2011). La crescita non è dovuta solo alla crescita delle nuove domande, ma anche alla diminuzione dei casi chiusi. Ossia, sempre più persone entrano in assistenza, sempre meno ne escono e, di conseguenza, il numero dei cosiddetti “casi aperti” cresce. E non di poco. Al proposito si ricorderà come qualche mese fa il domenicale antileghista redatto da frontalieri, ovvero il Caffè della Peppina, con bella sicurezza – e con la conoscenza del territorio che contraddistingue detta testata – annunciava che non era vero niente, che sono tutte balle della Lega populista e razzista: non esiste alcuna emergenza lavoro, e men che meno un’emergenza assistenza, e ancora meno c’entra qualcosa la devastante libera circolazione delle persone, la scriteriata aperture delle frontiere, l’invasione di frontalieri e di padroncini.
Se le persone in assistenza aumentano, è perché ovviamente non trovano lavoro. Ed è quindi ovvio che in questo contesto le iniziative dell’ente pubblico per far lavorare chi altrimenti sarebbe a carico dello Stato sociale, si fanno sempre più necessarie. Il minimo, ma proprio il minimo che si può fare, è conservare l’esistente. Lugano in questo campo fa molto, con circa 200 programmi d’inserimento professionale attualmente attivi, i quali godono di un ottimo tasso di riuscita: circa l’83% dei partecipanti ha infatti trovato uno sbocco lavorativo. Tagliare adesso in questo settore sarebbe insensato. A meno che, ovviamente, si consideri preferibile scaricare in assistenza le persone che seguono detti programmi, con tutte le conseguenze sociali e personali che comporta il non avere un lavoro, per continuare a spendere nella kultura senza indotti e nei musei senza pubblico.
Costi raddoppiati dal 2010?
Più persone in assistenza significa anche più spese per l’ente pubblico, ovvero Cantone (che paga il 75% dei costi) e Comuni (che coprono il restante 25%). Anche a questo proposito, i campanelli d’allarme suonano con insistenza. A Lugano le partecipazioni comunali alle spese dell’assistenza erano di 2.2 milioni all’anno nel 2010, 2.6 nel 2011, 3.3 nel 2012 mentre nel primo semestre del 2013 si sono spesi 2,3 milioni di Fr: ciò significa che, avanti di questo passo, a fine anno si arriverà a 4.6 milioni! Ossia più del doppio della spesa del 2010 (2010, non 1910). E’ vero che fino al 2012 la partecipazione comunale ai costi dell’assistenza era del 20% e dal 2013 è salita al 25%. Ma ovviamente questo 5% in più non spiega un raddoppio.
Se queste cifre non sono tali da rendere evidente l’esistenza di un’emergenza anche a quello che “mena il gesso”, vuol dire che qualcosa non funziona…
E nemmeno ci vuole molta fantasia ad immaginare il perché ci si ritrova in queste condizioni: ovviamente perché, con la devastante libera circolazione – piaccia o non piaccia al domenicale antileghista – il mercato del lavoro ticinese è stato saturato da persone in arrivo da Oltreconfine, sicché i residenti fanno sempre più fatica a trovare degli sbocchi professionali.
E qual è la risposta dei bernesi che, a loro dire, comprenderebbero i problemi del Ticino? Ma naturalmente proporre di far venire in Svizzera apprendisti dal sud Europa, così da portar via il posto di tirocinio ai nostri giovani e così da permettere a questi cittadini stranieri, una volta formati, di portar via il lavoro ai residenti! Elementare, Watson! Anzi, elementare Johann (Schneider Ammann)!
Lorenzo Quadri