Non c’è proprio alcuna fretta di mandare soldi ai nostri vicini, i quali da un lato approfittano a piene mani della (per noi) devastante libera circolazione delle persone, dall’altro non perdono occasione per discriminarci

Era un po’ che non se ne sentiva parlare, ma adesso il tema torna a fare capolino. Trattasi degli accordi fiscali con l’Italia. Come i suoi predecessori, l’attuale premier Letta (in carica ancora per quanto?) crede di aver trovato in Svizzera, per dirla con le parole dell’ex ministro delle Finanze Giulio “Desaparecido” Tremonti, “la caverna di Alì Babà”.

C’è da temere che la perniciosa ministra del 5% ed i suoi degni colleghi siano pronti a calare le braghe perfino con l’Italia, questo  per evitare critiche o attacchi, essendosi peraltro dimostrati del tutto incapaci di farvi fronte. Ed infatti pare sia giunta immediata la disponibilità bernese ad entrare in trattative con Roma. Trattative che, c’è da scommettersi, nel caso venissero intavolate, seguirebbero l’ormai noto, e desolante, schema: cedere subito e su tutto.

Le cifre del rimpatrio dei capitali che vengono fatte balenare a Roma, sono, come al solito, balzane. Si parla di una somma iniziale di 10-15 miliardi (e qui forse  non siamo troppo fuori strada: se si pensa che in Svizzera potrebbero trovarsi  150 miliardi di euro di cittadini italiani, un’aliquota dell’8 è immaginabile) e di interessi ricorrenti di 5-10 miliardi di euro. E qui siamo completamente a sbalzo.

E’ bene dunque ricordare un paio di cosucce. Punto primo: le liste nere italiane, in cui la Svizzera è stata inserita a causa dei  rimasugli del segreto bancario, sono illegali. Quindi, finché la Svizzera non viene cancellata da queste liste nere, di accordi fiscali non se ne parla nemmeno. Ad un atto illegale non si risponde con le calate di braghe; semmai con misure dello stesso tenore. 

Non c’è alcuna fretta di riconoscere alcunché all’Italia, la quale viene regolarmente e sistematicamente meno ai proprio impegni nei confronti della Svizzera: pensiamo solo, ad esempio, allo sfacelo della ferrovia Stabio-Arcisate. Perfino i ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri non sono più dovuti, essendo venuti a mancare i presupposti che stavano alla base dell’accordi di quasi quarant’anni fa; ma la Svizzera si ostina a versarli.

Pro memoria

Ai nostri vicini a sud va inoltre ricordato ad oltranza che, se non ci fosse il Canton Ticino, 60mila frontalieri e decine di migliaia di padroncini sarebbero a carico dello stato sociale italiano. 60mila frontalieri non sono affatto indispensabili al Ticino, al contrario sono un disastro, e con i padroncini va ancora peggio. In nessun caso il frontalierato è una colonna portante del nostro Cantone, come tenta di far credere la vicina Penisola per raggiungere i proprio scopi; ma semmai è esattamente il contrario.

Qualsiasi accordo con l’Italia costituirebbe un danno per la piazza finanziaria ticinese, un danno che si tradurrebbe, molto concretamente, in perdita di posti di lavoro. Il sospetto è che, per l’ennesima volta, Berna non esiterà a sacrificare il Ticino per fare bella figura davanti agli eurobalivi. Non si vede dunque per quale motivo il nostro Cantone, già devastato dalla contiguità con l’Italia in regime di libera circolazione delle persone, dovrebbe ancora pagare il prezzo di accordi con il Belpaese all’insegna della capitolazione. E questo solo perché a Berna non si ha spina dorsale sufficiente per affrontare delle critiche, ma si va in panico alla minima osservazione, fondata o infondata che sia.
Di concludere accordi fiscali con l’Italia proprio non c’è fretta. Per convincere la vicina Penisola a cancellare il nostro paese da liste nere illegali, si organizzino controlli al confine ad oltranza. Ad immagine dell’ottima operazione delle scorse settimane, dalla quale è emerso che, su 27 padroncini controllati, non ce n’era uno che fosse in regola.

E, visto che, per il famoso corridoio ferroviario a 4 metri, se vogliamo che l’Italia faccia la sua parte sul proprio territorio dovremo pagare i lavori di tasca nostra (con quali garanzie che verranno davvero eseguiti e portati a termine?) è chiaro che di ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri non si versa più un centesimo.
Lorenzo Quadri