Quando si dice che al peggio non c’è mai fine…

Rispondendo ad una interrogazione del consigliere nazionale PPD Marco Romano il Consiglio federale rende il volgo edotto su una questioncella sconosciuta ai più. Ossia che nella seconda metà degli anni 90, durante le trattative con la disunione europea sui fallimentari accordi bilaterali, il governo elvetico rinunciò ad una clausola di salvaguardia unilaterale applicabile ai frontalieri. Questo per non rischiare di compromettere l’esito delle trattative complessive.

E chi lo dice che…?

Ecco dunque che già quasi vent’anni fa il Ticino veniva svenduto nel presunto interesse superiore della Confederazione. Si potrà dire che del senno di poi sono piene le fosse. Ma qui non si tratta del senno di poi. Si tratta del senno che si sarebbe dovuto avere al  momento. E non ci sarebbe voluta una scienza.

Se l’UE si opponeva a questa clausola di salvaguardia vuol dire che essa era ritenuta efficace. Per il Consiglio federale era dunque obbligatorio insistere. Da notare che il ministro dell’Esteri ai tempi era l’uregiatto ticinese Flavio Cotti.

Chi lo dice, poi, che Bruxelles alla fine non avrebbe accettato? Negli anni 90 la Svizzera, non avendo ancora calato le braghe su tutto, partiva da una posizione più forte di quella attuale. Aveva più carte da giocare. Ma evidentemente si è scelta la via più breve, echissenefrega delle regioni periferiche, che sono state allegramente abbandonate all’invasione di frontalieri.

E se invece…

Se si parlava di clausole di salvaguardia per i frontalieri, vuol dire che già allora qualcosa si profilava all’orizzonte. Ma è mancato il coraggio di andare fino in fondo. Invece di rischiare una trattativa più difficile, si è preferito giocare sulla pelle del Ticino e dei ticinesi. Adesso tutti si mordono le mani. Certamente il nostro Cantone, ma anche lo stesso Consiglio federale. Con una clausola di questo tipo, la situazione sul nostro mercato del lavoro non sarebbe stata la catastrofe attuale. E dunque non è irragionevole immaginare che magari non ci sarebbe stato nemmeno un 9 febbraio. Il vecchio proverbio “meglio diventar rossi prima che bianchi dopo” dimostra, ancora una volta, la propria valenza. Il Consiglio federale, per non diventar rosso con gli eurobalivi a  metà degli anni Novanta, diventa bianco oggi.

La lista si allunga

Con questa nuova “scoperta” si allunga la lista delle situazioni in cui il nostro Cantone ha pagato per tutti in materia di frontalierato.

Il Ticino ha pagato per tutti in occasione del famoso accordo sui ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri del 1974, che ricordiamo trattarsi di un pizzo all’Italia in cambio del riconoscimento del segreto bancario. Tuttavia alla fine degli anni 90, la Penisola ha violato questo accordo inserendo la Svizzera su liste nere illegali. Però ha continuato ad incassare i ristorni. Perché gli svizzerotti, ma guarda un po’, li hanno sempre versati.

Stessa situazione per l’accordo fiscale tra Svizzera ed Italia sottoscritto nei giorni scorsi. Il nostro Cantone avrebbe dovuto ricevere dai frontalieri un ammontare di imposte ben più consistente di quello attuale. Aggravando fiscalmente i frontalieri ci si riproponeva, inoltre, di attenuare l’effetto dumping. E’ anche in questo spirito che la larga maggioranza del Consiglio nazionale ha approvato il postulato di scrive che chiede di tassare i frontalieri in base ad aliquote italiane.

 Ma non accadrà nulla di tutto questo

Adesso si scopre che anche in fase di trattazione dei Bilaterali l’allora Consiglio federale ha colpevolmente rinunciato a tutelare il Ticino per non  infastidire i balivi di Bruxelles. Ma si può accettare di essere rappresentati in questo modo?

Lorenzo Quadri