Che il Caffè della Peppina domenicale sia un giornale anti-Ticino e pro-frontalieri lo si era capito da un pezzo. Non a caso il mantra ripetuto ad oltranza è quello del “in Ticino non c’è un’emergenza lavoro”. Sembra di sentire i sondaggi della SECO.
Fa però un po’ specie che, per corroborare una simile tesi, in una recente edizione della caffettiera domenicale sia stato intervistato anche il direttore del DFE Christian Vitta (PLR). Il quale, a domanda tendenziosa (in Ticino vengono create migliaia di posti di lavoro…) avrebbe risposto che in questo sempre meno ridente Cantone non c’è un’emergenza lavoro quantitativa (?). Oltretutto, la disoccupazione si starebbe allineando (?) ai livelli svizzeri. O ticinesotti, che volete di più?
Qui siamo in piena fase di mistificazione. Ovvero: si stanno raccontando un sacco di fregnacce.
Più frontalieri che nuovi posti
Che vengano create migliaia di posti di lavoro può anche darsi, peccato che anche i frontalieri aumentino di migliaia. Ed aumentano in misura maggiore rispetto ai nuovi posti di lavoro creati. Questo vuol dire che i nuovi impieghi non vanno a vantaggio dei ticinesi. Ad approfittarne è l’economia d’Oltreconfine. Sicché i soldi del contribuente rossoblù vengono investiti nel “promovimento” economico. Ma i frutti li raccoglie la vicina ed ex amica Penisola. Quando si dice: “innaffiare il prato del vicino”.
Ai frontalieri naturalmente si aggiunge la questioncella dei titolari di permessi di breve durata, sotto i 90 giorni. Ossia distaccati e padroncini. Nel 2014 eravamo a 27mila unità a tempo pieno, mentre nel 2005 erano 12mila. Anche questa invasione si traduce, all’atto pratico, in possibilità d’impiego che vengono a mancare per i residenti.
Statistiche farlocche
Quanto alla questione del tasso di disoccupazione in Ticino che non sarebbe poi così preoccupante: bisogna rimettere la chiesa al centro del villaggio. Tanto per cominciare, questo indicatore dà solo una visione molto parziale della situazione, in quanto non tiene in considerazione innumerevoli situazioni: da chi è in assistenza a chi è finito in AI, da chi si trova nel limbo di formazioni parcheggio a chi ha rinunciato a lavorare (magari perché in famiglia ci sono altri redditi e ci si arrangia). Da chi è stato mandato in pre – o pre-pre – pensione a chi ha dovuto ridurre il tasso d’occupazione e lo stipendio (ma magari non le ore effettivamente lavorate). E via elencando. Se poi si aggiunge che basta lavorare un’ora alla settimana per venire considerati occupati secondo le statistiche, forse una qualche domandina sulla valenza di certi dati bisogna porsela. Infatti sono indagini che hanno un preciso obiettivo: dire quanto si sta bene con la devastante libera circolazione e quanto sia cosa buona e giusta spalancare le frontiere.
Assistenza
Soprattutto, non si capisce come si possa andare in giro a raccontare la storiella della non-emergenza lavoro e del tasso di disoccupazione che tenderebbe ad allinearsi (?) quando esplode il numero dei casi d’assistenza. Come noto in Ticino ce ne sono ormai oltre 8500. Nei centri urbani la cifra è letteralmente raddoppiata nel giro di pochi anni. Questo perché da un lato entrano in assistenza sempre più persone e, dall’altro, sempre meno ne escono. Da necessità transitoria l’assistenza diventa condizione stazionaria. Anche togliendo chi rimane in assistenza perché in fondo gli fa comodo tirare a campare così, il dato non diventa meno allarmante. E lo è anche per le finanze pubbliche che pagano il conto. Il direttore del DFE Christian Vitta dovrebbe saperlo bene.
Tutte fantasie?
L’emergenza lavoro non è una fantasia populista e razzista. E’ una realtà. Lo dicono le cifre e lo dicono anche i risultati delle votazioni in Ticino. O il Caffè della Peppina ed il partito spalancatore di frontiere da esso rappresentato vorrebbe forse sostenere che i ticinesi sono tutti dei fessacchiotti manipolati?
Dalla realtà della crisi occupazionale ticinese non se ne esce con l’ubbidienza pedissequa. Se Berna non lascerà sufficiente autonomia ai Cantoni – a partire dal nostro – per costruire le proprie difese, vorrà dire che questa autonomia bisognerà prendersela. Prendersela come? Ovviamente, facendo degli strappi. Come è successo, ad esempio, sul casellario giudiziale. Il nostro mercato del lavoro, e quindi il futuro del Ticino e dei Ticinesi, rende necessario percorrere questa via.
Lorenzo Quadri