Non si può pensare di mandare a Berna a rimediare ai disastri fatti quelli che ne sono i principali responsabili

La musica è sempre la stessa. Mentre i candidati dei partiti storici alle elezioni nazionali fingono, per motivi di opportunità elettorale, di sostenere il voto del 9 febbraio e di essere contrari alla sudditanza nei confronti dell’UE, le parole d’ordine lanciate al volgo sono sempre le stesse. Del tipo: “non esiste in Ticino un’emergenza lavoro”.

Nel Mendrisiotto…
Ah no? Nel Mendrisiotto più della metà degli occupati sono frontalieri e questa non è un’emergenza? In Ticino i frontalieri sono raddoppiati in pochi anni, andando a colonizzare anche settori del terziario che in precedenza erano riservati ai residenti (i quali adesso ne vengono esplusi) e questa non è un’emergenza? Padroncini e distaccati sono triplicati a tempo di record e questa non è un’emergenza? In Ticino già da inizio anno il numero di casi d’assistenza ha infranto la soglia degli 8500, ma questa non è un’emergenza? In questo sempre meno ridente Cantone arrivano ditte farlocche di titolari italiani che devastano il mercato, fatturano milioni, non pagano né imposte né oneri sociali e poi, quando le tasche dei titolari, furbetti dell’italico quartierino sono abbastanza piene, falliscono lasciando dietro di sé una scia di fornitori non pagati, di disoccupati e di “puff” assortiti, e questa non è un’emergenza? L’elenco potrebbe continuare..

Situazioni prevedibili
Non ci si venga poi a raccontare che le situazioni sopra descritte non erano prevedibili quando si è votata la devastante libera circolazione delle persone senza limiti. Magari allora la situazione occupazionale lombarda era un po’ meno disastrata di adesso. Ma forse che il differenziale tra il costo della vita al di qua e al di là dal confine non era già cosa stranota? Forse che la presenza in Italia di ditte e padroncini che lavorano in nero (perché se pagassero il dovuto al fisco predatorio del Belpaese fallirebbero in una settimana) non era cosa nota? Forse che ci voleva un premio Nobel per l’economia per rendersi conto che tutti questi “attori” avrebbero preso d’assalto il Ticino, al motto di “piatto ricco, mi ci ficco”?

I piedi in due scarpe
Il mercato del lavoro ticinese è stato devastato a suon di aperture scriteriate. E come si pensava di tutelare i lavoratori residenti? Con delle risibili “misure accompagnatorie”, che servono come il classico cerotto sulla gamba di legno! Solo un pollo d’allevamento poteva pensare che queste misure avrebbero impedito il disastro. E non date retta ai sindacati di sinistra – infarciti di candidati e politicanti – che, dopo aver spalancato le frontiere, improvvisamente scoprono che si è creato il dumping salariale ed il soppiantamento e se ne lamentano a gran voce. Ma se questa situazione l’hanno voluta loro! E non dimentichiamo che i sindacati hanno i piedi in due scarpe, visto che un’alta percentuale di affiliati è frontaliera. Anche i frontalieri pagano le quote. Ed infatti il P$, dove comandano i sindacati, organizza manifestazioni a difesa dei frontalieri. Per cui…

Un passo indietro
Visto che il sistema è totalmente sballato, bisogna fare un passo indietro. La preferenza indigena deve venire rigorosamente ripristinata. Questo il Ticino si aspetta dai suoi rappresentanti politici a livello federale. Ma il compito di rimediare non può essere certo affidato a chi ha fatto il disastro, ossia i partiti $torici…
Lorenzo Quadri