Al CF non interessa vederci chiaro sui soldi che gli immigrati inviano al paesello
Ohibò: sui soldi che gli immigrati trasmettono nei paesi d’origine è buio pesto. E naturalmente al Consiglio federale non interessa accendere la lampadina (e nemmeno una candela).
Ma procediamo con ordine. Nei mesi scorsi sulla stampa era emersa un’indicazione interessante, confermata dall’Amministrazione federale: i migranti inviano ogni anno 17 miliardi nei paesi d’origine. Evidentemente, se un immigrato lavora e guadagna, nulla gli impedisce di mandare dei soldi “a casa”. Il problema si pone se questi soldi non provengono da reddito da lavoro, bensì da aiuti sociali. E’ evidente che il contribuente svizzerotto non paga i costi dello Stato sociale per permettere ai beneficiari stranieri di mantenere il folto parentado rimasto al paesello.
Delle due l’una
E’ forse il caso di ricordare che i costi sociali stanno schizzando verso l’alto in direzione infinanziabilità. Sicché, delle due l’una: o si taglia linearmente su tutti, inguaiando anche gli svizzeri in difficoltà, oppure si interviene seriamente sugli immigrati nello Stato sociale. Per i quali la festa deve finire ed in fretta.
Quanti provengono da sussidi?
Visto che stiamo parlando di 17 miliardi di franchetti mandati all’estero ogni anno e non di due spiccioli – e c’è chi parla di una cifra addirittura superiore, ovvero 24.4 miliardi – la politica dovrebbe essere interessata a capire meglio la provenienza di simili somme stratosferiche.
Se anche solo l’1% di questi 24.4 miliardi provenisse da aiuti sociali, si tratterebbe di quasi 250 milioni di sussidi in esubero a stranieri, che si potrebbero risparmiare. Ancora più grave sarebbe se questi soldi fossero inviati da asilanti. In tal caso infatti la possibilità che questi soldi vadano anche a finanziare passatori è altissima.
E’ forse il caso di ricordare che i rifugiati (o presunti tali) ammessi provvisoriamente in Svizzera ricevono dallo Stato – quindi da noi – più dei nostri anziani con la sola AVS che hanno lavorato e pagato le tasse per tutta la vita.
Poi magari questi “profughi” vanno a trascorrere le vacanze nel paese d’origine perché “lì è più bello”. E gli svizzerotti fessi non se ne accorgono. Perché per non farsi sgamare basta andare in treno al primo aeroporto estero e partire da lì.
Il solito Njet
Indagare sulla provenienza di questa valangata di miliardi che ogni anno viene spedita all’estero; capire se una parte di essa – e se sì, quale – è finanziata da aiuti sociali, è senz’altro complesso. Ma è necessario. Anche perché di fare il paese del bengodi per ogni sorta di approfittatori stranieri (e di venire poi ancora accusati di razzismo!) ne abbiamo le scuffie sature. Da qui la richiesta al Consiglio federale di approfondire il tema, che il sottoscritto ha formulato tramite postulato. La risposta naturalmente è il solito Njet. Chi l’avrebbe mai detto! Tra parentesi, anche un senatore uregiatto del Canton Soletta ha sollevato (per conto suo) quesiti analoghi. Sicché, non sono tutte balle della Lega populista e razzista.
Un’altra questione
Visto che si parla di prestazioni sociali esportate, è il caso di ricordare che a tal proposito esiste anche un altro capitolo increscioso assai: cittadini “non patrizi” che ottengono rendite AI (magari per “mal di schiena” o “motivi psichici”) e poi si trasferiscono all’estero (spesso ritornano nel paese d’origine) dove con i soldi rossocrociati fanno la bella vita magari lavorando pure in nero.
Pare di ricordare (eufemismo) che un paio di anni fa, la ditta d’investigazioni incaricata dalla socialità zurighese di chiarire alcune di queste situazioni – perché c’era il fondato sospetto che cittadini balcanici al beneficio di AI rientrati al paese d’origine lavorassero appunto in nero e si costruissero le ville – dovette rinunciare al mandato a causa delle minacce ricevute. Ohibò.
Naturalmente la cosa finì lì. Se abuso c’era, c’è ancora adesso. E nümm a pagum.
Poi ci chiediamo come mai le prestazioni sociali sono diventate infinanziabili. E la partitocrazia politikamente korretta e spalancatrice di frontiere, invece di chiudere i rubinetti dell’immigrazione nella nostra socialità (che con taluni è generosa e alqunato fessa) e di intervenire sugli abusi, taglia linearmente a tutti. Svizzeri compresi. All’insegna del “devono entrare tutti” e del “devono farsi mantenere tutti”.
Lorenzo Quadri