Il Consiglio federale annuncia la rinegoziazione dell’accordo sui ristorni dei frontalieri, datato 1974, e il PPD ticinese cade in preda ad un nuovo attacco di “sindrome xerox” (dalla nota marca di fotocopiatrici).

Il PPD infatti salta sul carro, sempre che di carro si tratti e non di carriola, ricordando la propria iniziativa cantonale che chiedeva alla Confederazione di aprire le trattative con l’Italia per rinegoziare il tasso di ristorno del 38.8%. Un tasso spropositatamente alto che era stato stabilito, lo abbiamo ripetuto più volte, quale contropartita per l’accettazione del segreto bancario. Il fisco italico non ottiene informazioni sui conti dei propri cittadini in banche svizzere, ma in compenso si porta a casa il succoso bottino dei ristorni. Poiché il rispetto italiano del nostro segreto bancario non è più dato ormai da anni, i ristorni al 38.8% vengono pagati per niente, e non hanno più ragione di esistere.

Solo che, ma tu guarda i casi della vita, a sollevare per prima il problema dei ristorni dei frontalieri è stata la Lega nel lontano 2007 tramite un’interrogazione parlamentare del sottoscritto, e non certo il PPD. Anzi, per i partiti storici, PPD compreso, le iniziative leghiste sulla revisione dei ristorni e sul blocco dei medesimi altro non erano che biechi populismi, assolutamente impraticabili. Un po’ come le dogane sorvegliate 24 ore al giorno, altra richiesta leghista poi fotocopiata dal PPD. Poi, con l’avvicinarsi delle scadenze elettorali, ecco che in casa dei partiti storici si sono messe in moto le “xerox”.

Questo tanto per rimettere la Chiesa al centro del villaggio e per chiarire di chi è la paternità di iniziative su cui tutti poi, a posteriori, tentano più o meno maldestramente di apporre la propria etichetta. Naturalmente dopo averle bollate di “populiste”.

Attenzione: un eventuale accordo sui ristorni non ha nulla a che vedere col problema del numero dei frontalieri in Ticino. Numero che per la Lega deve scendere ad al massimo 35mila, contro i 52 mila attuali!

 

Uovo di Colombo o pia illusione?

Vista la stretta connessione tra ristorni e riconoscimento del segreto bancario, è chiaro che i due temi vanno affrontati di pari passo. In campo di segreto bancario, negli ultimi tempi sia la piazza finanziaria che i politici esultano per gli accordi conclusi con la Germania e per il modello Rubik, ossia prelievo una tantum per regolarizzare il passato e imposizione alla fonte per il futuro.

Secondo chi conosce bene la materia, tuttavia, gli accordi con Berlino sono di una complicazione inaudita, e  contengono punti non chiari. Ad esempio sulla retroattività del trattato  e sui destinatari della comunicazione sulla sanatoria (vedi al proposito il Mattino del 21 agosto, a pag 26): interrogativi che rimangono irrisolti.

C’è poi da chiedersi se il modello Rubik si rivelerà davvero vincente. Esso comporta infatti dei rischi importanti. Se il prezzo della sanatoria è troppo alto, il titolare del conti semplicemente non “sana”: ritira i suoi soldi dalla banca svizzera e li porta a Singapore o ad Hong Kong. Se il prezzo è basso, il titolare paga; ma poi chi glielo fa fare di non riportarsi i soldi “sbiancati” a casa?

Solo il tempo e l’applicazione pratica ci sapranno dire se davvero il modello Rubik rappresenta l’uovo di colombo, cosa di cui sembrano essere convinti, magari peccando d’ingenuità, ambienti politici e finanziari, o se invece l’esercizio si sarà rivelato una pia illusione.

Lorenzo Quadri