La legge in votazione il 18 giugno propone modifiche modeste. Obiettivo: salvare impieghi 

Il 18 giugno saremo chiamati a votare sulla modifica della legge cantonale sugli orari di apertura dei negozi. I cambiamenti proposti sono modesti.

Nel concreto si tratta di:

  • Aumentare da tre a quattro all’anno le domeniche di apertura generalizzata; 
  • Dare la possibilità di chiudere alle 19 (quindi: un’ora più tardi rispetto ad oggi) nelle feste infrasettimanali non parificate alla domenica (si tratta di pochissimi giorni all’anno: San Giuseppe, Ss Pietro e Paolo, Corpus Domini, Lunedì di Pentecoste e l’Immacolata) e nelle domeniche che precedono il Natale;
  • Aumentare da 200 a 400 mq il limite della superficie di vendita che permette di usufruire delle deroghe di legge previste per le località turistiche.

Quelle indicate sopra sono delle opportunità e non degli obblighi. Nessun commerciante verrà costretto a tenere aperto di più se non vuole.

Come ben si vede, non siamo certo davanti ad una rivoluzione, bensì ad interventi circoscritti. E, contrariamente alle Fake news (=balle di fra’ Luca) diffuse dai contrari, non c’è alcuna tattica del salame per arrivare ad un’apertura domenicale generalizzata. La legge federale prevede infatti che le aperture domenicali dei negozi possono essere al massimo quattro all’anno. Con la modifica posta in votazione, il Ticino ne introduce una in più. In questo modo si allinea a quanto già fanno vari altri Cantoni. 

Nella palta “grazie” al Triciclo 

Le misure proposte, sostenute dalla Lega e dal Mattino, servono a dare una mano soprattutto ai piccoli negozi che si trovano sempre più in difficoltà a seguito delle politichette di $inistra a cui il sedicente “centro” PLR-PPD continua ad accodarsi.

Ad esempio:

  • I piani viari concepiti contro le automobili, che portano alla desertificazione dei centri urbani con conseguente danno per commerci e ristoranti. Stesso discorso per le tariffe di posteggio fuori di cranio degli autosili nelle città. Tariffe contestate anche da Mr. Prezzi ma naturalmente la partitocrazia… citus mutus! Silenzio di tomba anche dalle sedicenti associazioni a difesa dei consumatori, che in realtà sono succursali del P$.
  • Anche il telelavoro svuota i centri. Esso è pistonato ad oltranza dai ro$$overdi odiatori degli automobilisti e rottamatori della mobilità individuale. I kompagnuzzi ci vorrebbero chiudere in casa come sorci, come ai tempi del lockdown; così non inquiniamo con gli spostamenti. Centri urbani vuoti uguale negozi che abbassano le saracinesche. Ed infatti negli USA causa telelavoro le città si svuotano ed i commerci falliscono. La R$I (assai poco sospetta di filoleghismo) ha dedicato di recente un servizio proprio a questo tema. 
  • La casta va in sollucchero con la “digitalizzazione” e quindi anche con il commercio online, che mette in ginocchio quello fisico. 
  • La rottamazione del segreto bancario ad opera della partitocrazia. La $inistra si bulla di aver contribuito a questo disastro. Risultato: ai negozi di Lugano (e non solo) è venuta a mancare la clientela italiana facoltosa e disposta a spendere. In “compenso”, grazie al Triciclo, ci troviamo con 80mila frontalieri la maggior parte dei quali non lascia un franco sul territorio e si porta la “schiscetta” da casa.
  • La popolazione ticinese è sempre più povera e precaria a causa della devastante libera circolazione delle persone voluta dalla partitocrazia. Di conseguenza spende il meno possibile. I piccoli commerci (assieme al segmento della ristorazione e del tempo libero) sono i primi a pagare lo scotto.
  • Ad impoverire ulteriormente i ticinesi, a danno dei commerci, c’è l’ondata inflazionistica provocata dall’impennata dei costi dell’energia e quindi della produzione. L’impennata è dovuta da un lato alle sanzioni boomerang contro la Russia (che non servono ad un tubo) e dall’altro alla svolta verde ideologica. Le conseguenze di quest’ultima sul borsello dei cittadini vengono imboscate: si dà la colpa alla “guerra in Ucraina”, diventata il coperchio per tutte le pentole, pensando di fare fesso il popolazzo.

Balle ro$$e

Chi si oppone alle piccole modifiche alla legge sull’apertura dei negozi, al punto da aver lanciato un referendum provocando la votazione popolare? Ovviamente, la $inistra sindakale spalancatrice di frontiere, che blatera a vanvera di protezione dei lavoratori a mero scopo di marketing. Ma le proposte su cui voteremo non toccano né le leggi sulla protezione dei lavoratori, né i contratti collettivi che regolano gli orari massimi di lavoro, i salari o i tempi di recupero. 

Si tratta  di estendere le aperture dei negozi di una domenica all’ANNO e di una manciata di ore sempre all’ANNO: il che evidentemente non stravolgerà l’esistenza di nessun venditore o venditrice. Anzi: magari chi lavora nel commercio al dettaglio è contento/a di lavorare una domenica in più (con il relativo supplemento di paga) per avere libero un altro giorno.

Il lavoro domenicale o serale è una realtà in sempre più settori professionali. I $inistrati vogliono demolire la nostra società; però quando fa comodo si attaccano ipocritamente, come cozze allo scoglio, a modelli patriarcali di impiego del tempo che loro stessi pretendono di smantellare. 

E’ il colmo: $indakati e $ocialisti fingono di non capire che, se i negozi chiudono, i loro affiliati che ci lavorano restano disoccupati. Ma forse nemmeno si rendono conto del problema: del resto il $indakato UNIA, quello che schiaccia gli ordini al P$ svizzero,  ha un patrimonio di UN MILIARDO. Sicché il fallimento non lo rischia di sicuro.

 

Lorenzo Quadri