USExit: gli Stati Uniti si ritirano dall’Accordo di Parigi sul clima. E noi invece?
Tra gli esponenti del pensiero unico è scoppiato il panico. Il presidente USA Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima del 2015. In Svizzera la modifica della legge sul CO2 in applicazione di tali accordi è ancora al vaglio delle Camere federali. Nel dicembre 2016 il Consiglio nazionale l’aveva approvata a larga maggioranza (contrario il gruppo Udc e qualche deputato sparso). Il Consiglio degli Stati deciderà la prossima settimana. Non ci vuole il Mago Otelma per prevedere che l’esito sarà lo stesso.
Quindi, per l’ennesima volta, siamo alle solite: gli svizzerotti si martellano sugli attributi, sommergendo i cittadini di tasse balzelli e divieti e azzoppando l’economia, con il mantra politikamente korrettissimo della protezione dell’ambiente. E adesso gli Stati Uniti – quindi non un micro-staterello – annunciano che non giocano più. A cosa servono, a livello globale, gli sforzi e le privazioni che la Svizzera si autoinfligge se (anche) gli USA si chiamano fuori?
Costi e criminalizzazioni
La nuova Legge sull’energia, approvata dalla maggioranza dei cittadini il 21 maggio dopo mesi di propaganda di regime da parte del Consiglio federale e dei media di servizio, graverà i sempre più magri borselli della gente con una pletora di nuovi costi, stimati in 800 fr all’anno per persona. A questi seguirà il consueto florilegio di obblighi e divieti. Tutto questo per ridurre drasticamente il consumo energetico, e quindi l’impatto ambientale. Sacrifici tanti per risultati effettivi pochi.
Con il mantra della protezione dell’ambiente si stanno inoltre preparando una pletora di nuove misure punitive. Che colpiranno in prima linea gli automobilisti: un numero crescente di talebani va in giro a dire che la benzina dovrebbe costare 10 Fr al litro così da costringere i cittadini ad usare i mezzi pubblici, ovviamente anche dove non ci sono. Come se gli automobilisti fossero un branco di delinquenti che si spostano in macchina inutilmente per il puro piacere perverso di inquinare. Ma arriveranno anche misure contro i riscaldamenti a nafta, contro i caminetti a legna, e poi i divieti di circolazione, il mobility pricing (Berna è sempre in cerca di agglomerati disposti a fare da cavia), e altre amenità di questo genere.
Si ha tutta l’impressione che il mantra politikamente korrettissimo della protezione dell’ambiente sia solo un pretesto per andare a criminalizzare intere categorie di cittadini e settori economici (echissenefrega delle conseguenze occupazionali). Quando si prendono decisioni legislative sulla scorta dell’ideologia e della morale a senso unico, non possono che uscirne delle ciofeche: il bidone Via Sicura dovrebbe pur aver insegnato qualcosa.
Solo i residenti
Ovviamente poi le misure punitive “in nome dell’ambiente” vanno a colpire solo i residenti, e il caso del Ticino è emblematico. Mazzuolare gli automobilisti con targhe TI perché inquinino meno serve a ben poco se ogni giorno entrano indisturbati nel nostro Cantone 65mila frontalieri, ovviamente uno per macchina, più svariate migliaia di padroncini su furgoni-catorcio, più i TIR UE in transito parassitario (grazie agli accordi bilaterali sui trasporti terresti sottoscritti a suo tempo dal kompagno Moritz “Implenia” Leuenberger). E a tutto questo dobbiamo ancora aggiungere l’inquinamento in arrivo dalla Lombardia.
Già pagheremo la strategia 2050
Il rischio di tirare troppo la corda è concreto. Aggiungendo – ottemperando ai dettami del “pensiero unico” – sempre nuove restrizioni sedicenti ecologiche e sempre nuovi balzelli alla produzione indigena, non si farà altro che fomentare delocalizzazioni all’estero. Dove non solo la manodopera costa meno, ma anche gli standard ambientali sono ben diversi. Questo di certo non giova alla causa ecologista. In compenso avremo in Svizzera tanti disoccupati in più. A trovare un nuovo impiego a questa gente ci peserà l’area ro$$overde, nevvero?
La quale area dopo la decisione di Trump di uscire dall’accordo sul clima è stata colpita da isterismo collettivo. Come sempre accade quando le sue presunte verità assolute vengono messe in discussione.
Ma è evidente che se gli USA escono dall’accordo sul clima la Svizzera non ha motivo per entrarci. Tanto più che già dovremo pagare il prezzo stratosferico della strategia energetica 2050.
Sulla reale valenza dell’accordo sul clima occorre poi interrogarsi. Per non saper né leggere né scrivere, sembra di assistere alla stessa cagnara ideologica che accompagnò la sospensione della Svizzera dai programmi Erasmus plus dopo il “maledetto voto” del 9 febbraio. Sembrava che da questi programmi dipendesse il futuro della formazione universitaria del nostro paese; poi “ci si è accorti” che essi costano uno sproposito all’ente pubblico, ma i tassi di partecipazione sono infimi.
La shitstorm
Inutile dire che i custodi del “pensiero unico”, dopo la decisione di Trump, sono già in fibrillazione. Aspettiamoci dunque nei prossimi giorni dei massicci tentativi di lavaggio del cervello da parte dell’establishment, degli intellettualini e della stampa di regime. La “shitstorm” (=tempesta di cacca) è già iniziata. L’obiettivo non è solo denigrare l’odiato populista Trump, che evidentemente degli strilli degli svizzerotti se ne fa un baffo. L’obiettivo è soprattutto quello di ricattare chi per caso, alle nostre latitudini, coltivasse la malsana idea di seguirne le orme (mettendo in crisi certi dogmi e chi, su questi dogmi, ci campa): non avete che da provarci che vi ricopriamo di palta.
Lorenzo Quadri