Salario minimo: le misure perequative sono obbligatorie. Altrimenti sarà un autogol
Ohibò, ecco che torna il tormentone del salario minimo, da troppo tempo sul tavolo dei politicanti cantonali.
Per quanto ci concerne, un primo punto fermo è il seguente: di fare regali ai frontalieri non se ne parla nemmeno. Oltretutto, ciò non farebbe che aggravare il già tragico assalto da sud al mercato del lavoro ticinese. Senza contare che i minimi salariali sono facilmente aggirabili. Non solo i vicini dello stivale sono più furbi che belli, ma nel Belpaese il lavoro nero non è nemmeno considerato reato. Vedi la dichiarazione “storica” dell’allora premier Silvio Berlusconi: “sotto il 20% non è lavoro nero” (ed il Berlusca, contrariamente a certi suoi successori, per lo meno quando parlava di lavoro sapeva di cosa parlava).
Il trucchetto più semplice (ma ce ne sono molti altri) per aggirare i minimi salariali: frontalieri assunti e pagati al 50% – in genere da “imprenditori” tricolore che hanno trovato in Ticino “ul signur indurmentàa” – che però nella realtà lavorano al 100%.
Non ci va bene che…
Ricordiamo l’ovvia circostanza che il costo della vita al di qua ed al di là del confine è talmente differente che, a parità di salario, il ticinese residente in Ticino tira la cinghia, mentre il frontaliere fa la bella vita. Ora, non ci sta bene che, in casa nostra, il lavoratore ticinese faccia fatica a tirare a fine mese, mentre un straniero che risiede all’estero, e che svolge lo stesso identico lavoro, se la spassi invece da nababbo. Tanto più che sempre più spesso il frontaliere, grazie alla devastante libera circolazione delle persone voluta dal triciclo PLR-PPD-P$$, sostituisce un ticinese. E altrettanto spesso fa in modo di non lasciare sul suolo cantonale nemmeno un franchetto. Ciliegina sulla torta: basta farsi un giro nei gruppi social dei permessi G per vedere quanto astio nutra la categoria nei confronti della Svizzera e degli svizzeri. Invece di ringraziare per la pagnotta, troppi – non tutti, ovviamente; e ci mancherebbe – sputano nel piatto dove mangiano, e ci fanno pure la scarpetta.
Il punto di partenza
Quando si parla di salario minimo, il punto di partenza non può essere un salario uguale per tutti, ticinesi e frontalieri. I criteri devono essere 1) il costo del dipendente per il datore di lavoro, per il quale assumere un frontaliere non deve risultare più conveniente che assumere un residente e 2) il tenore di vita dei lavoratori al di qua ed al di là della ramina, che dovrebbe essere analogo per la stessa prestazione.
Occorrono dunque dei meccanismi di perequazione.
Il datore di lavoro paga un “tot” a tutti, ma il frontaliere, in considerazione del costo della vita inferiore in Italia, dovrà ricevere un “tot meno qualcosa”. Questo “qualcosa” andrà a confluire in un apposito fondo, destinato a sostenere il ricollocamento dei disoccupati ticinesi (altro che finanziare con sussidi stellari chi assume finti rifugiati, come farnetica il Consiglio federale).
Salari per settore
Occorrerà quindi essere creativi. In caso contrario l’esercizio andrà a finire a schifìo. Si farà l’ennesima cappellata a danno dei ticinesi.
E servono anche, come ha già sottolineato la Lega, misure accompagnatorie a sostegno delle aziende ticinesi che avrebbero difficoltà nel pagare il salario minimo.
Attenzione in particolare a quei salariati che già adesso ricevono stipendi di poco superiori al salario minimo, perché rischiano di vederseli ritoccare al ribasso.
Inoltre un salario minimo uguale per tutti non ha senso: i salari minimi vanno stabiliti in base alle professioni.
Ed infine, per decidere con cognizione di causa, occorre anche sapere quanti ticinesi trarranno beneficio dal salario minimo. Perché c’è come il sospetto che…
Grazie, balivi!
E’ il caso di ricordare che, grazie ai balivi di Bruxelles davanti ai quali la partitocrazia PLR-PPD-P$$ cala sistematicamente le braghe ad altezza caviglia, ci verranno imposte nuove regole che avvantaggeranno i frontalieri a scapito dei ticinesi. Ad esempio l’accesso alle prestazioni di disoccupazione con parificazione ai residenti. Ciò rende ancora più evidente la necessità di non fare regali ai frontalieri: ci pensano già gli eurofunzionaretti non eletti da nessuno (del resto, nessuno li eleggerebbe), la cui missione è quella di promuovere l’immigrazione e di demolire le sovranità nazionali.
La farsa
Non ci vuole il mago Otelma per prevedere che qualsiasi misura perequativa che dovesse essere adottata in Ticino per evitare regali ai permessi G – ammesso e non concesso che ne verranno adottate, perché con la partitocrazia che ci ritroviamo… – verrà tacciata di “inaccettabile” dai vicini a sud, i quali andranno a strillare a Bruxelles la propria indignazione. Seguirà istantanea calata di braghe del triciclo PLR-PPD-P$$. Del resto, il citato triciclo brama lo sconcio accordo quadro istituzionale, tra le cui perniciose conseguenze c’è pure l’azzeramento di tutte le (scarne) misure a tutela del mercato del lavoro ticinese attualmente in essere.
La situazione è chiara: chi vuole lo sconcio accordo quadro istituzionale non vuole la protezione del mercato del lavoro ticinese dagli sfracelli della libera circolazione delle persone. Tentare di far credere che non sia così, significa prendere la gente per scema.
Lorenzo Quadri