Il divieto va nella Costituzione
La Commissione delle Petizioni del Gran Consiglio ha firmato i rapporti sull’iniziativa antiburqa. L’iniziativa, che ha raccolto ben 12mila firme, è stata lanciata dal Guastafeste Giorgio Ghiringhelli ed è sostenuta dalla Lega. E’ infatti il leghista Stefano Fraschina il relatore di minoranza, favorevole all’iniziativa, e quindi all’inserimento del segreto bancario nella Costituzione federale. Il rapporto di maggioranza invece vorrebbe un divieto iscritto solo nella Legge.
Ed oltretutto, nel divieto di circolare a volto coperto, il rapporto di maggioranza considera solo l’aspetto della sicurezza, che pure esiste. Ma il divieto di burqa non si esaurisce in una questione di sicurezza, per quanto importante, ma interpella anche valori fondamentali della nostra società occidentale e democratica (parità tra uomo e donna, libertà di espressione, libertà religiosa…), oltre che le nostre radici cristiane che ne sono la base. Radici che nell’Europa della multikulturalità, che è completamente fallita, vengono rimosse in nome del politikamente korretto: in Belgio le vacanze pasquali si chiamano ora vacanze di primavera per non urtare la sensibilità di persone in arrivo da paesi lontani e da culture diverse e che non hanno capito che chi vive nell’Europa occidentale, con tutti i vantaggi che ciò comporta, deve anche sposare i valori del paese che lo ospita; altrimenti torna a casa sua.
Attenzione ai trucchetti
Quindi il divieto di burqa merita il rango costituzionale. Sia per i suoi contenuti che per la sua concretizzazione. La Costituzione infatti può essere modificata solo tramite votazione popolare. Ciò significa che, una volta che vi è stato inserito, il divieto di burqa può venire tolto solo mandando i cittadini alle urne. Un divieto contemplato semplicemente nella legge, invece, può venire cambiato in quattro e quattr’otto dalla maggioranza parlamentare. Al proposito un passaggio inserito nel rapporto di maggioranza del PPD Claudio Franscella è illuminante: «(…) Vi è però la convinzione che la via giusta in cui bisogna operare, visto il mutare rapidissimo della nostra società e delle sue esigenze, sia quella legislativa e non quella costituzionale. Infatti una normativa inserita in una legge (in questo caso nella Legge sull’ordine pubblico del 29 maggio 1941) garantisce più libertà di manovra al legislatore e consente un più facile adeguamento al mutare delle situazioni (…)».
In altre parole: piazziamo pure il divieto nella legge, così poi dopo un po’ lo cancelliamo in nome delle frontiere spalancate, della multikulturalità e del politikamente korretto.
Eh no, non è così che funziona. Il 22 settembre (data della probabile votazione sull’iniziativa) bisogna sostenere l’iniziativa e non il controprogetto, che è il consueto specchietto per le allodole volto a turlupinare i cittadini.
Lorenzo Quadri