Una camera del parlamento federale non fa a tempo ad approvare un (modesto, sia chiaro) giro di vite in materia di naturalizzazioni facili che, naturalmente, deve arrivare l’altra con l’intenzione di buttare all’aria tutto.

Lo scorso marzo il Consiglio nazionale nella revisione della legge sulla cittadinanza aveva inserito qualche regola più restrittiva in paragone alla legislazione attuale. Se ciò è successo, lo si deve al fatto che una maggioranza dei parlamentari si è resa conto che il passaporto rosso viene conferito con troppa facilità, anche a persone non integrate. Naturalmente il problema è che, una volta accordata, accada quel che accada (a meno che il naturalizzato non si renda colpevoli di atti terroristici) la naturalizzazione, una volta conferita, diventa irreversibile. E la persona non può più essere espulsa. Ma l’obiettivo era anche quello di dare valore alla naturalizzazione. Che non è una semplice pratica burocratica, ma il premio che si ottiene una volta giunti con successo alla fine del processo di integrazione.

Troppi candidati infatti si naturalizzano non perché si sentano integrati ma semplicemente per ottenere dei vantaggi. Ad esempio la certezza di non dover più lasciare il paese. E, dunque – anche senza voler arrivare agli atti di delinquenza – di potersi mettere a carico dell’assistenza o dell’AI senza rischiare nulla.

Da qui dunque il – modesto – giro di vite deciso dal Consiglio nazionale. Che tuttavia lascia irrisolti due problemi importanti. Il primo è quello appena citato della revoca della naturalizzazione a chi, dopo averlo ottenuta, si dimostra immeritevole (ad esempio delinquendo). Il secondo è quello del doppio passaporto che non ha ragione di esistere ed anzi, colmo dei colmi, avvantaggia il naturalizzato rispetto allo svizzero di nascita.

Delle due l’una: o l’aspirante cittadino elvetico si sente di sposare in tutto e per tutto la nuova patria, e dunque abbandona la precedente nazionalità, oppure non è intenzionato a farlo, nel qual caso vuol dire che non è integrato e quindi non va naturalizzato.

La Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati avrebbe dunque, semmai, potuto chinarsi sui temi testé citati; magari proponendo degli emendamenti per colmare queste lacune. Invece no: vuole fare un passo indietro e rendere ancora più facili la naturalizzazioni facili! La Commissione degli Stati pretende infatti di far bastare 8 anni di soggiorno in Svizzera per acquisire il passaporto rosso, contro i 10 voluti dal Nazionale (comunque troppo pochi).

Addirittura, la commissione reputa sproporzionato (!) il criterio d’integrazione adottato dal Nazionale secondo cui il richiedente deve essere in grado di esprimersi correttamente, oralmente e per iscritto in una lingua nazionale. Pretende inoltre di far ancora contare doppio gli anni trascorsi in svizzera tra i 10 ed i 20 anni di età, opzione giustamente stralciata dal Nazionale. Giustamente perché i giovani stranieri che delinquono ben dimostrano come trascorrere gli anni in questione in Svizzera non sia affatto una garanzia di integrazione.

Questi passi indietro sono assolutamente inaccettabili, e c’è dunque da sperare che il plenum degli Stati non segua la sua commissione. Del resto la stessa commissione ha pure respinto l’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa in quanto contraria alla libera circolazione delle persone (uella) da cui la Svizzera avrebbe, udite udite, “tratto vantaggi di gran lunga superiori (!) ad eventuali (!!) inconvenienti”. Capita l’antifona? L’invasione di frontalieri e padroncini che sta mettendo a ferro e fuoco il mercato del lavoro ticinese è un “eventuale inconveniente”!
E questo acritico ed ottuso pappagallare le veline della prezzolata SECO secondo cui con la libera circolazione delle persone andrebbe tutto a meraviglia è il massimo che riesce a produrre la Commissione delle istituzioni politiche della Camera alta. Camera che dovrebbe essere il parlamento più importante della Svizzera. A questo punto non serve commentare oltre.
Lorenzo Quadri