“Situazione preoccupante, le associazioni professionali devono intervenire”

Come volevasi dimostrare, il numero di padroncini, distaccati e compagnia bella, ossia le persone che, tramite semplice notifica – che può essere inoltrata per e-mail! – possono venire in Ticino dalla vicina Penisola a prestare la propria opera per un tempo massimo di 90 giorni, è esploso in tempo di record.
Nel giro di pochi anni si è passati da 7-8000 notifiche annuali alle 15’300 del 2011. Senza che l’andamento economico cantonale giustificasse in nessun modo un tale incremento: è quindi evidente che anche qui, come nel caso dei frontalieri del terziario (del resto pure questa è una forma di frontalierato) si assiste ad una sostituzione: nel caso concreto di artigiani e ditte “local” con aziende e padroncini in arrivo da oltreconfine, che lavorano al loro posto.
Ebbene – e qui sta la notizia – nei primi 6 mesi del 2012 il numero delle notifiche è ulteriormente esploso. Infatti se ne sono contate 11’072, contro le 9770 dello stesso periodo 2011. Ne consegue che, a fine dell’anno corrente, si arriverà attorno alle 18-20mila notifiche. I settori più toccati risultano essere quello delle metalcostruzioni, (3343 notifiche), quello della falegnameria (2281) e quello della tecnica della costruzione (1490).

Manca ancora il “nero”
Se già le 15’300 notifiche del 2011 sono state una cifra che ha fatto scalpore, figuriamoci allora le 20mila con cui rischiamo di trovarci a fare i conti a fine dicembre.
E al proposito va pure rilevato che questi sono solo i dati ufficiali. Non comprendono quindi tutti quelli – e sono parecchi, anche se, per definizione, è impossibile quantificarli – che entrano in Ticino a lavorare in nero.
E’ pur vero che il solo numero delle notifiche è un dato incompleto, perché ancora non dice in quante giornate lavorative si sono tradotte dette notifiche. Tuttavia non c’è particolare motivo per ritenere che la durata media delle notifiche si sia ridotta rispetto all’anno scorso. In altre parole, tutto sembra indicare che ci troviamo davanti ad un’ennesima impennata del lavoro effettuato in Ticino da operatori in arrivo da Oltreconfine, a scapito di quelli che vivono, assumono e pagano le tasse da noi.
Cosa pensare di questo fenomeno?

“Non c’è una strategia”
«In assenza di ulteriori dati è difficile capire cosa stia succedendo, soprattutto nel settore dell’edilizia secondaria – commenta Meinrado Robbiani, segretario sindacale OCST -. Tuttavia, se questi distaccati, padroncini, eccetera arrivano in Ticino è perché qualcuno li chiama, e allora bisogna capire come mai. Potrebbe trattarsi di imprese del luogo che si appoggiano a questi operatori perché altrimenti non riuscirebbero a restare nei tempi d’esecuzione promessi. Oppure che ricorrono a ditte e artigiani italiani per abbassare i prezzi. Il sospetto e il timore è che non ci sia una strategia. Ossia, si fa ricorso a questi notificati non perché si pensa in questo modo di guadagnarsi l’accesso al mercato italiano o perché si vogliono acquisire le loro competenze per poi metterle in pratica “in proprio”, ma per un ragionamento speculativo di riduzione dei costi sul corto termine. Occorre quindi sottolineare le responsabilità delle categorie professionali che non sembrano essere in grado di gestire in modo lungimirante la libera circolazione delle persone, la quale deve essere governata se non si vuole venirne travolti. La prima vittima rischia di essere la formazione, poiché il ricorso massiccio a prestatori d’opera italiani a basso costo disincentiva a formare i nostri giovani. Al di là di queste prime riflessioni – conclude Robbiani – è però difficile farsi un quadro chiaro di quello che sta accadendo, senza disporre di ulteriori dati oltre a quello sul numero delle notifiche».

“Più preoccupante dei frontalieri”
Preoccupazione viene espressa anche da Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi ticinese (CCIA-Ti).
«L’impennata del numero dei padroncini è un fatto che ho sempre considerato preoccupante, anche più preoccupante del numero dei frontalieri propriamente detti: è infatti evidente la sottrazione di lavoro agli artigiani e alle imprese indigene. L’esplosione dei padroncini, in generale, viene sottovalutata, quando invece dovrebbe far suonare i campanelli d’allarme, in particolare in relazione all’ulteriore massiccia crescita che emerge dalle cifre delle notifiche della prima metà dell’anno».
E’ pur vero che padroncini e ditte italiane qualcuno li chiama a lavorare in Ticino… «Evidentemente – risponde Albertoni – vengono chiamate dai ticinesi, e questo è un inghippo che non so come risolvere. Mi chiedo se in certi ambienti imprenditoriali ci sia la capacità di gestire la libera circolazione delle persone. Si assiste quindi ad una contraddizione nel mondo imprenditoriale: da un lato ci si lamenta dei padroncini italiani che portano via il lavoro, dall’altro non si esita a chiamarli. Cosa sta succedendo? Si potrebbe immaginare che ci siano alcuni ambiti in cui le aziende ticinesi non vogliono più “sporcarsi le mani”, e quindi delegano il lavoro Oltreconfine».

Quadro difficile
E cosa si potrebbe fare allora? «Da un lato sappiamo che, con l’attuale quadro legislativo di libera circolazione delle persone, introdurre dei sistemi di controllo è molto difficile quando non impossibile – rileva Albertoni -. Ma, con le associazioni categoria, un discorso su un monitoraggio più attento di queste notifiche va pur fatto, in particolare per i rami d’attività che risultano più toccati. In quest’ambito, le associazioni professionali devono verificare cosa fare. Ad esempio, i piastrellisti hanno introdotto le cauzioni, che non costituiscono la panacea, ma possono servire. E altrove?».
Lorenzo Quadri