Strasburgo sentenzia: lezioni di nuoto obbligatorie anche per i musulmani
Ma guarda un po’, di tanto in tanto anche la Corte europea dei diritti dell’Uomo, non propriamente un covo di leghisti populisti e razzisti, ci azzecca!
Lo ha fatto in passato approvando il divieto di burqa francese. La sentenza ha messo nella palta la partitocrazia bernese (Consiglio federale in primis). La quale si apprestava ad affossare il divieto di velo integrale votato dai ticinesi, analogo a quello francese – perché i voti popolari che non piacciono all’élite spalancatrice di frontiere vanno annullati. Però, dopo la sentenza di Strasburgo, le è mancata la terra sotto i piedi. Sicché, nel dibattito sulla concessione della garanzia federale alla nuova norma costituzionale ticinese, i kompagni sono rimasti da soli a farneticare assurdità sul “burqa simbolo di libertà”.
La scusa non regge
E la Corte europea dei diritti dell’Uomo ci ha di nuovo azzeccato nei giorni scorsi, statuendo sulle lezioni di nuoto che – hanno deciso i giudici della CEDU – sono obbligatorie anche per le allieve musulmane. Strasburgo, come abbiamo letto, ha dunque dato torto ad una coppia residente a Basilea città, con doppia nazionalità svizzera e turca (!), che non mandava le figlie alle lezioni di nuoto miste invocando motivazioni religiose. Per i giudici europei (come per le istanze svizzere prima di loro) la scusa non regge. Il nuoto è obbligatorio per tutti, senza eccezioni.
Tre punti
Dalla sentenza “europea” emergono almeno tre punti interessanti.
Punto primo: la decisione contiene un messaggio chiaro agli immigrati da “altre culture” che pensano di vivere nel nostro paese senza integrarsi affatto. Perché tanto “gli svizzerotti sono fessi e non si accorgono di niente, e magari ci pagano pure le prestazioni sociali per paura di venire additati come razzisti e xenofobi”.
Punto secondo: la sentenza costituisce l’ennesima asfaltatura degli spalancatori di frontiere fautori del fallimentare multikulti. Costoro non perdono occasione per abusare della libertà di religione, trasformandola in strumento di denigrazione nei confronti di chi pretende che gli immigrati si adeguino alle regole del paese ospite. Per la serie: “non ti va bene che i migranti musulmani si comportino in casa nostra esattamente come facevano nel paese d’origine? Stai scandalosamente violando la loro libertà di religione per cui vergognati, becero razzista e fascista”.
Punto terzo. I genitori che vietavano alle figlie per inconsistenti motivi religiosi di frequentare le lezioni di nuoto erano naturalizzati. Chi gli ha dato il passaporto rosso? Dimostrazione evidente, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che oggi si naturalizzano persone non integrate. Del resto, anche i due giovani musulmani di Basilea Campagna che rifiutavano di dare la mano alla docente perché donna aspiravano al passaporto elvetico. E l’avrebbero con tutta probabilità ottenuto, se non fosse scoppiato il caso della stretta di mano negata. Quindi, il prossimo 12 febbraio bisogna votare NO alle naturalizzazioni agevolate per gli stranieri di terza generazione. La cittadinanza svizzera viene già concessa con troppa leggerezza, senza i necessari approfondimenti. Non c’è alcun bisogno di ulteriori agevolazioni. Serve invece proprio il contrario.
La nota stonata
Tuttavia, anche questa volta non poteva mancare la nota dolente. In effetti l’autorità cantonale basilese, invece di chiarire senza se né ma alla famiglia turca neo-svizzera “perfettamente integrata” che le lezioni di nuoto sono parte del programma scolastico sicché si frequentano e basta, aveva proposto una soluzione di compromesso. Vale a dire – udite udite – mandare le bimbe in piscina in burqini. Una volontà di compromesso che è stata “apprezzata” dalla Corte europea. Qui qualcuno è fuori come una cassetta dei gerani. A parte le sicure controindicazioni igieniche del burqini (se non si può entrare vestiti in piscina, un qualche motivo ci sarà) è evidente che tale goffo indumento – seppur non con la stessa intensità di un burqa che nasconde addirittura il volto – serve ad ostentare la propria diversità. E quindi la propria volontà di NON integrarsi nella realtà, nella mentalità, negli usi e costumi della società in cui si è immigrati. Non sta quindi né in cielo né in terra che a proporre il burqini sia un’autorità pubblica svizzera, addirittura un’autorità educativa, che per sovrapprezzo vorrebbe infilare l’orrido scafandro nientemeno che a delle bambine! Lavaggio del cervello?
Promuovono il burqini?
Dunque, qui ci sono delle autorità cantonali che hanno promosso la non-integrazione. E naturalmente la $inistruccia va in brodo di giuggiole. Fin troppo scontato. Non a caso il P$ vuole rendere l’Islam religione ufficiale in Svizzera. Si legge infatti nelle cronache sulla sentenza sul caso-piscina che tale kompagno Christophe Eyemann, direttore dei Dipartimento educazione di Basilea Città, è al settimo cielo per le “parole di lode (?) della Corte europea nei confronti delle autorità che hanno proposto alle bambine di indossare il burqini” (se ne vanta pure!).
E alle nostre latitudini il kompagno Manuele Bertoli non poteva che fargli eco nel suo elogio del burqini: “lo stesso indumento – sentenzia il direttore del DECS dalle colonne del Corriere – che nelle polemiche (sottointeso: nelle polemiche populiste e razziste) di questa estate è stato additato come fonte di problemi, è invece un elemento di compromesso”. Compromesso un piffero. Il burqini è un problema e tale rimane. E chi, non potendo più opporsi al divieto di burqa, tenta di rifarsi sdoganando il burqini, idem.
Lorenzo Quadri