Dai carri armati all’Ucraina (altro che Germania) al discorso di Zelensky in parlatoio

La politichetta federale continua a capitolare davanti alle pressioni estere. Il Consiglio nazionale a larga maggioranza ha deciso di mettere fuori servizio 25 carri armati Leopard 2. I mezzi corazzati potranno venire così rivenduti alla Germania. La quale ha assicurato che non saranno mandati in Ucraina. Come no, e gli asini volano. Per bersi una promessa del genere, bisogna essere caduti dal seggiolone da piccoli.

La Germania dei Leopard 2 non se ne fa nulla. Stesso discorso per gli altri paesi occidentali. La destinazione finale dei tank è chiara anche al Gigi di Viganello.

Lo scoprono solo ora?

Interessante (si fa per dire) la teoria della ministra della Difesa uregiatta Viola Amherd (Viola chi?) la quale ha dichiarato che la Confederella non avrebbe più alcun bisogno dei carri armati in questione. Ciò malgrado fior di alti ufficiali – che di difesa ne capiscono di sicuro più della Viola – abbiano sostenuto il contrario.

Se davvero i carri armati non servono, come mai la presunta inutilità salta fuori solo ora, quando giungono pressioni per accaparrarseli? La coincidenza è assai sospetta. Se i tank fossero davvero inutili, la Confederella avrebbe già dovuto disfesciarli da tempo: è ovvio che tenerli posteggiati in un hangar ha un costo. Sarebbero dunque stati gettati nel water, magari per anni, i soldi del contribuente?

Ben si capisce che i conti non tornano. Delle due, l’una: o si è toppato finora, oppure non è vero che i Leopard sono solo un peso morto!

Anche in Germania…

E’ chiaro che, in realtà, la vendita dei carri armati costituisce l’ennesima spallata ad una neutralità sempre più ridotta a barzelletta Se ne sono accorti anche in Germania, paese di (apparente) destinazione dei Leopard, dove la Bild ha titolato, in riferimento alla Svizzera: “Dunque non è più neutrale”.

In questo filone anti-neutralità si inserisce pure il video-intervento del presidente ucraino Zelensky al parlatoio federale, tenutosi giovedì nel primo pomeriggio. La quasi totalità del gruppo parlamentare Udc, incluso l’esponente leghista (chi scrive) non era presente. Zelensky ha ringraziato Berna per le sanzioni contro la Russia (ennesima conferma che esse sono contrarie alla neutralità) ed ha chiesto armi. E tutti i soldatini della partitocrazia in piedi ad applaudire estasiati, da brave marionette.

All’atto pratico, il discorso del presidente ucraino non porta nulla. Di certo non ha fatto cambiare idea a nessun politicante. Anche perché ad ascoltarlo c’erano quelli già bramosi di rottamare il divieto di riesportazione di materiale bellico, “naturalmente” con l’Ucraina unica beneficiaria. Se per il momento stanno calmini, è solo per PAURA delle elezioni.

Partitocrazia allo sbando

L’intervento di Zelensky davanti al parlatoio è stato un atto puramente propagandistico e simbolico. L’interlocutore del presidente ucraino è il governicchio federale, non certo il legislativo. Autorizzando lo show parlamentare dell’ex show man (appunto) di Kiev, gli uffici presidenziali del Nazionale e degli Stati hanno ulteriormente sabotato la neutralità svizzera. I kompagni, ormai del tutto isterici ed avulsi dalla realtà, sono arrivati ad accusare chi non era d’accordo di fare intervenire Zelensky di essere un supporter di Putin. Che livello.

Da notare che, alla faccia della neutralità, il nostro è uno dei paesi in cui il presidente ucraino è intervenuto più volte. Ha infatti tenuto ben cinque discorsi a distanza:

  • In piazza federale, in presenza del “medico italiano” del PLR (allora presidente della Confederella);
  • all’inutile Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina a Lugano (i commercianti ed i ristoratori che non hanno potuto lavorare per giorni a causa della città blindata stanno ancora aspettando i risarcimenti promessi);
  • all’Università di Zurigo;
  • al WEF di Davos.

Dopo Zelensky, chi altri “si” pensa di invitare ad intervenire per fare pressione sul parlatoio bernese? Il segretario della NATO Stoltenberg?

Difesa negata alla Svizzera

Da notare che i $inistrati – quelli convertiti da pacifisti a guerrafondai (e dire che in un passato nemmeno tanto remoto andavano in pellegrinaggio a Mosca) – si riempiono la bocca con il diritto dell’Ucraina a difendersi; però lo negano alla Svizzera.

Mentre in Consiglio nazionale, durante il dibattito sul Messaggio sull’esercito 2023, i kompagnuzzi votavano i Leopard 2 per l’Ucraina (altro che Germania), contemporaneamente tentavano di decurtare in modo grottesco i crediti richiesti per la sicurezza del nostro Paese. Ad esempio, i Verdi-anguria hanno chiesto tramite emendamento di azzerare la spesa (300 milioni) per “missili mirati ad ampliare la capacità del sistema di difesa terra-aria a lunga gittata”.

Unica notizia positiva su questo fronte: il 14 giugno, giorno precedente all’intervento di Zelensky, il Consiglio degli Stati, in un raro sprazzo di lucidità, ha affondato la mozione del Consiglio nazionale che chiedeva di istituire una task force per individuare e bloccare i patrimoni dei cosiddetti oligarchi russi (= caccia alle streghe sulla base della nazionalità; e poi quella “razzista” sarebbe la “destra”). Una simile task force, contraria ad ogni principio di neutralità, avrebbe segnato la fine della reputazione di affidabilità della nostra piazza finanziaria.

Firmare l’iniziativa

Per ridare credibilità – e quindi utilità quale strumento di pace – alla neutralità elvetica, occorre dunque firmare l’iniziativa per il ritorno alla neutralità integrale!

Va bene che “in temp da guera, püsee ball che tera”; ma sostenere che permettere la riesportazione di armi verso un paese belligerante sia compatibile con la neutralità, e che le armi servano alla pace ed alla ricostruzione, significa tirare davvero un po’ troppo la corda.

Lorenzo Quadri