Solo il 55.3% delle persone esercita un’attività lucrativa – Indispensabile un referendum che spazzi via la libera circolazione delle persone
Da un paio di settimane la Croazia ha deciso di entrare a far parte dell’Unione europea (quando tutti vogliono uscirne…).
La conseguenza per noi è che la libera circolazione delle persone con questo nuovo Stato membro UE diventa un tema caldo.
La libera circolazione delle persone in Ticino ha avuto e sta avendo conseguenze molto gravi, malgrado la SECO (Segreteria di Stato per l’economia) si ostini a ripetere, contro ogni evidenza, che “Tout va bien, Madame la marquise”. Eppure tanto bene le cose non devono poi andare, se da un lato il Consiglio federale pappagalla le veline della SECO su quanto è bella la libera circolazione senza limiti, ma dall’altro applica la clausola di salvaguardia.
Fatto sta che ci troviamo ora confrontati con un nuovo parnter. La Croazia, appunto. La quale, sia detto per inciso, sembra aver capito subito l’andazzo: non ha fatto a tempo a votare l’ingresso nella fallita Unione europea che subito è partita lancia in resta ad attaccare il franco svizzero.
Ma vediamo un po’ più da vicino il nuovo Stato membro UE.
La Croazia ha circa 4.5 milioni di abitanti, e fin qui nulla da segnalare. Ma poi arriva il bello. Il tasso di disoccupazione ufficiale della Croazia è del 18.1%, ricordiamo che la media UE è dell’11%, e da notare che in questa percentuale figurano solo persone che hanno cercato attivamente un’occupazione nelle 4 settimane precedenti. Questo significa che il dato reale è molto più elevato rispetto a quello ufficiale.
Ed infatti, sempre dalle statistiche ufficiali, emerge per la Croazia una quota di persone attive del 55.3%. Una percentuale che è bassa in maniera allarmante. Si pensi che la quota UE è del 68.5%.
Ciò significa dunque che in Croazia solo il 55,3% delle persone tra i 20 ed i 64 anni esercita un’attività lucrativa di almeno un’ora (!) alla settimana. Come si possa considerare attivo/a professionalmente un uomo o una donna che lavora un’ora alla settimana, è uno dei tanti misteri dei rilevamenti statistici.
Questa cifra entra apparentemente in conflitto con il tasso di disoccupazione del 18.1% citato sopra. Si tratta, appunto, di un conflitto apparente. In realtà, dimostra solo come una grossa fetta dei senza lavoro croati sia stata espulsa dalle statistiche della disoccupazione per finire in quella dei titolari di rendite di altro tipo (che possono essere l’equivalente della nostra AI, dell’assistenza, eccetera).
Ciliegina sulla torta, che tanto “ina” non è, ed anzi più che una ciliegia è un’anguria: la disoccupazione giovanile (sotto i 25 anni), che raggiunge in Croazia la percentuale stellare del 51,8%, ossia il doppio della media UE. Solo la Spagna (56%) e la Grecia (59.2%) sono messe peggio!
Quadro desolante
Il quadro che emerge da questi pochi dati statistici è dunque desolante, per usare un eufemismo. Queste sono le caratteristiche del nuovo “partner” al quale dovremmo (?) applicare la libera circolazione delle persone. Con le conseguenze fin troppo prevedibili in termini di immigrazione; sia nel mercato del lavoro che nello Stato sociale.
E’ comunque scontato che il popolo elvetico sull’estensione degli accordi bilaterali alla Croazia sarà chiamato a dire la sua. Visto che questi accordi, malgrado i maldestri ed arroganti tentativi della SECO di negare l’evidenza, suscitano un crescente e giustificato malcontento nella popolazione – e non più solo quella delle regioni di confine che, come si è già capito, contano come il due di briscola – pensare di estenderli ad un partner con le caratteristiche occupazionali sopra citate – di fatto l’ennesina Peppa Tencia – di certo non susciterà entusiasmi.
In altri termini, il rischio di njet popolare alla libera circolazione delle persone con la Croazia è concreto, e questo potrebbe far crollare l’intera libera circolazione delle persone. La cui presunta imprescindibilità per la Svizzera viene calata dall’alto come un dogma; ma che le cose stiano davvero così è tutto da dimostrare. Ed infatti c’è chi, anche negli ambienti accademici, comincia a metterlo in dubbio. Del resto anche l’adesione allo SEE di 20 anni fa doveva essere obbligatoria, fondamentale, indispensabile e chi più ne ha più ne metta. Si è visto come è andata a finire.
Lorenzo Quadri