I ro$$overdi non si sono ancora accorti che i tempi di vacche grasse sono finiti

Ecco servita la nuova telenovela cantonticinese che – complici le ormai prossime elezioni cantonali e la conseguente, accresciuta smania di visibilità dei politicanti –  sta già assumendo toni da tragedia greca. Il tema sono gli orari di apertura dei negozi. Nei giorni scorsi la maggioranza del parlatoio cantonale vi ha apportato qualche modesta modifica, dando seguito ad un’iniziativa dell’ex partitone, appoggiata anche da Lega, Udc e parte (!) del PPD. I $inistrati ro$$overdi, assieme all’ala sindacale uregiatta, hanno invece annunciato il referendum. Naturalmente accompagnati dalla consueta grancassa mediatica.

Il golpe (?)

Ohibò, e quale spaventoso golpe all’insegna del capitalismo schiavista avrà mai messo a segno il  legislativo cantonale per suscitare cotanta levata di scudi?

1) Le domeniche in cui i negozi potranno restare aperti aumenteranno da tre a quattro all’anno;

2) l’orario di chiusura durante le feste infrasettimanali non parificate alla domenica passerà dalle 18 alle 19;

3) le deroghe per le località turistiche (aperture domenicali e serali) potranno essere concesse a negozi con superficie di vendita fino a 400 metriquadri, contro i 200 attuali. Si tratta sempre di piccoli negozi, non di grandi magazzini.

“Tasse, tasse e tasse”

Non serve aver vinto un Nobel per l’economia per accorgersi che si sta discutendo di quisquilie e pinzillacchere. Che vanno nella direzione giusta, certo: ma sempre di piccolezze si tratta. Oltretutto le nuove regole introducono delle facoltà di restare aperti. Non certo degli obblighi. Si tratta, in sostanza, di permettere di lavorare a chi desidera farlo. Magari per evitare di chiudere e di licenziare. Eppure basta così poco per far sbroccare una $inistra sempre più estremista, ideologica e disconnessa dalla realtà.

Per questi kompagnuzzi è impensabile che qualcuno desideri lavorare per guadagnare. Costoro sognano la società dei sussidi a go-go versati con i soldi degli altri. Presto pretenderanno di introdurre il reddito di cittadinanza. In alcune città della Svizzera interna ci stanno già tentando.

Il copresidente nazionale P$, ovvero il doppiopassaporto Cedric Wermut di professione studente a vita, ha di recente ben esemplificato la linea $ocialista con un tweet ripreso su questo giornale: “Tasse, tasse e tasse”.

Non sorprende allora sentire il copresidente del P$ ticinese tuonare che la piccolezza votata dal parlatoio cantonale in materia di apertura dei negozi sarebbe “una pesante liberalizzazione (…) che cambia il tempo libero di migliaia di lavoratori”. Ö la Peppa!  Tesi subito smentita da un altro parlamentare $ocialista che, in un intervento pubblicato sui portali online, parla invece di “misure minime”. Vedete di mettervi d’accordo tra kompagni.

Chiaramente montare la panna sugli orari d’apertura serve anche a creare un diversivo. I vertici del P$ ne hanno urgente bisogno, che visto che gli sta saltando per aria il partito.

Scollegati dalla realtà

Le tinte apocalittiche con cui i $inistrati tentano  ridicolmente di demonizzare  qualche apertura domenicale in più non fanno che confermare il loro scollamento dalla realtà. Lorsignori pensano di vivere nel paese dei balocchi. Non l’hanno ancora capito che i tempi delle vacche grasse sono finiti. In Ticino sono terminati con la devastante libera circolazione delle persone voluta in primis proprio dalla $inistra, imbesuita dall’immigrazionismo. Poi si sono aggiunte pandemia e guerra. In tanti perderanno l’impiego. Però i kompagni indicono le crociate contro un’apertura domenicale in più all’anno. Senza  pensare che magari a tanti lavoratori e lavoratrici farebbe comodo lavorare la domenica con i supplementi di stipendio che ciò comporta. Intanto un buon numero di ticinesi va a fare la spesa in Italia, oltre che per i prezzi, anche per gli orari più elastici. Con buona pace della nostra economia.

Sul fatto poi che in quel di Mendrisio  il noto centro commerciale “VolpeCittà” sia  aperto tutte le domeniche da oltre un ventennio, i chiusuristi (ossia quelli che vogliono i negozi chiusi) preferiscono scarligare (glissare).

Il periodo post-pandemico (che speriamo continui a rimanere “post”) ha portato bene al turismo ticinese. Qualcuno pensa di promuovere il turismo tenendo le serrande abbassate?

Niente di nuovo

Fa specie la cagnara sindacale su un’ulteriore apertura domenicale e poco altro quando abbondano i settori in cui già si lavora la domenica, la sera, di notte: sanità, sicurezza, trasporti pubblici, albergheria, ristorazione, media, e chi più ne ha più ne metta.

Il lavoro di domenica è una realtà diffusa da tempo. Mica è stato inventato oggi. Magari i sindacalisti dal posto di lavoro garantito – specie quelli che giocano alla lotta di classe contro gli odiati capitalisti quando uno dei più grossi capitalisti della Svizzera è il sindacato UNIA che ha un patrimonio di UN MILIARDO – dovrebbero ricordarsi che il primo interesse dei lavoratori è quello di continuare ad averlo, un lavoro. E se i commerci falliscono…

Che tolla!

Veramente gustosa, poi, l’accusa di cambiare le carte in tavola a pochi anni dall’ultima – oltretutto modesta – modifica della legge sulle aperture dei negozi che i referendisti rivolgono alla maggioranza parlamentare. Formulato da una parte politica specializzata nel far rientrare dalla finestra ciò che il popolo ha fatto uscire dalla porta (vedi scuola che verrà, ecobalzelli, sussidi alla stampa di regime, aerei da combattimento, eccetera) una simile rimbrotto oscilla tra il ridicolo ed il patetico.

Morale: ancora una volta la $inistra tassaiola bloccatutto si mette per traverso a qualsiasi misura, per quanto piccola, che possa consentire ai cittadini di incassare qualche soldo in tasca in più. Che si tratti di sgravi fiscali o di possibilità di lavoro extra, la musica non cambia. Ormai i $ocialisti fanno a gara con i Verdi-anguria a berciare alla presunta “emergenza climatica” senza rendersi conto che in Ticino di emergenza ce n’è una sola: quella occupazionale.

Lorenzo Quadri