E’ banale dire che la gestione del “caso” Foxtown da parte del DFE è stata catastrofica. Anche presso le Camere federali, attualmente in sessione – dove naturalmente la notizia è rimbalzata anche al di fuori degli ambienti della Deputazione ticinese – le reazioni sono state di stupore. Stupore che si è poi tramutato in sorrisi sardonici alla notizia del “contrordine, si indice la tregua”.
Sta di fatto che il Ticino a Berna ha rimediato ancora una figuraccia. L’agire del DFE non ha fatto che confermare la reputazione di Cantone inaffidabile e poco serio: “ i soliti ticinesi”.
Intendiamoci: la decisione di ordinare repentinamente la chiusura domenicale ad un’azienda di successo, che costituisce un attrattore turistico, crea lavoro e non solo per i frontalieri, e che risponde comunque ad una richiesta dei ticinesi, è stata un errore clamoroso. In queste condizioni, si sarebbe imposta una decisione politica: il Foxtown rimane aperto la domenica. Lo è rimasto per quasi un ventennio. Alla luce del sole, e con il beneplacito di tutti, SECO compresa. Si può quindi parlare di diritti acquisiti. E, in ogni caso, finché non c’è una decisione giudiziaria di ultima istanza e cresciuta in giudicato, non si deve andare a toccare nulla.
Ancora una volta in casa DFE si sono prese decisioni affrettate, da contabili e non da politici, contrarie agli interessi del Cantone. Fa poi specie come un giorno si dica pubblicamente, a giustificazione dello stop pressoché immediato alle aperture domenicali (1° ottobre), che non c’erano altre soluzioni. Meno di 24 ore dopo, tutto è cambiato e si rimane aperti la domenica per decisione del Consiglio di Stato per un periodo di mediazione. Quindi le altre soluzioni c’erano. Ciò conferma, oltretutto, che la direttrice del DFE ed i suoi funzionari hanno preso una decisione come quella di ordinare le saracinesche abbassate senza coinvolgere il Consiglio di Stato.
La ciliegina sulla torta del “pasticciaccio” è stata poi il tentativo, invero piuttosto squallido, di addossare colpe alla Deputazione ticinese alle Camere federali. La quale, secondo la Consigliera di Stato, avrebbe dovuto estrarre la bacchetta magica e cambiare una legge federale nel giro di qualche settimana.
Tentare di spalmare su altri le proprie responsabilità è un atteggio umano quando si è “in tilt”. Tuttavia da una Consigliera di Stato ci si sarebbe attesi un comportamento un po’ più decoroso. Tanto più che la Signora Sadis, essendo stata lei stessa consigliera nazionale, sa benissimo che cambiare una legge federale a partire da un atto parlamentare (fosse anche quello più pesante, ossia l’iniziativa parlamentare) è un’operazione che dura anni; ammesso che ci siano poi le maggioranze necessarie nel plenum, cosa tutt’altro che scontata su un tema quale il lavoro domenicale, nel cui merito non solo la sinistra è assolutamente contraria, ma lancia referendum per ogni cip.
E’ chiaro che la Deputazione ticinese a Berna nulla poteva fare per cambiare la situazione, e la direttrice del DFE lo sapeva benissimo. Evidentemente la Consigliera di Stato non ha gradito che la Deputazione non le abbia dato la possibilità di scaricarsi delle proprie responsabilità, o di parte di esse, a spese dei rappresentanti ticinesi a Berna. Che proprio allocchi fino in fondo non sono. Da qui la rancorosa – e completamente “a sbalzo” – reazione pubblica.
Il caso andava gestito a livello ticinese. Lo stesso Silvio Tarchini in maggio aveva mandato una comunicazione alla Deputazione, con l’invito a “restarne fuori”. La Deputazione, pur nelle diverse sensibilità in materia di lavoro domenicale dei membri che la compongono, non si tirerà comunque indietro. Nell’interesse del Ticino, non certo della Consigliera di Stato.
A questo punto bisognerà comunque chiedersi se non sia il momento di puntare con decisione ad una modifica di legge che permetta a tutti i negozi che lo desiderano, dietro precise e documentate garanzie del rispetto dei diritti dei lavoratori, di aprire liberamente la domenica.
La società è cambiata, il lavoro domenicale è ampiamente diffuso (ospedali, case anziani, ristorazione, turismo, polizia, trasporti pubblici, servizi urbani, stampa, radio, televisione, teatro, congressi e chi più ne ha più ne metta). E la vicina Penisola ci sta bagnando il naso per l’ennesima volta con le aperture dei centri commerciali 7 giorni su 7. Senza contare che la tanto decantata vocazione turistica del Ticino dovrebbe anche poi tradursi in qualcosa di concreto. I negozi chiusi non sono mai stati un incentivo per i turisti.
Lorenzo Quadri