Qualche anno fa, per un breve periodo, sono stato membro del Consiglio del pubblico della CORSI. Poi ho preferito lasciare, non avendo più il tempo di occuparmi di questo incarico, che comporta almeno riuscire a guardare i programmi RSI con una certa costanza. Ma se ho lasciato. è anche perché la breve esperienza non mi ha certo entusiasmato.
Quello cui ho assistito – magari le cose sono cambiate nel frattempo ma non credo – è uno scollamento tra chi ha le competenze e chi ha i mezzi per farle rispettare.
Il Consiglio del pubblico è infatti preposto alla  valutazione dei programmi, ma non ha i mezzi per farsi valere, ammesso che lo desideri (su questo tornerò dopo) sicché le sue deliberazioni rischiano di rimanere lettera morta.
Le procedure davanti al garante raramente sfociano in qualcosa, anche se posso “vantarmi”, se così si può dire, di essere riuscito a farmi dare ragione in occasione di un reclamo.
E’ inutile girare a lungo attorno alla torta. La ripartizione dei proventi del canone, come pure l’ammontare del medesimo, sono da tempo un fuoco che cova sotto le ceneri. Da un lato c’è chi chiede che la TV pubblica si limiti esclusivamente alle trasmissioni di servizio pubblico, lasciando tutto il resto ai privati, con conseguente dimezzamento (almeno) del canone. Dall’altro c’è chi oltregottardo ritiene che la spesa per la RSI non si giustifichi dato il bacino d’utenza. E  hai voglia a spiegare che essa si indirizza a tutti gli italofoni in Svizzera; non sono comunque abbastanza. Sia che si segua una strada, sia che si segua l’altra, ad andarci di mezzo c’è la radiotelevisione della Svizzera italiana. Che costituisce, per la nostra regione, un canale di primaria importanza.
La RSI è peraltro stata assai brava nel farsi male da sola, col risultato di conquistare, anche in Ticino, numerosi sostenitori alle due tesi sopra citate. Perché le derive a sinistra nell’informazione pubblica non sono fantasie. Ovviamente la posizione politica dei redattori è affar loro. Smette però di esserlo quando filtra inopinatamente nel prodotto radiotelevisivo, e il recente passato ne ha dato esempi plateali.
Come uscire dall’impasse? Una via – e qui si torna all’inizio dell’articolo – potrebbe essere quella del Consiglio del pubblico, come ha suggerito il presidente CORSI Luigi Pedrazzini in un intervento a mezzo stampa. Questo però necessita di due condizioni. La prima è che il Consiglio del pubblico abbia effettivamente delle facoltà di intervento concrete, e non si limiti alle grida spagnole. La seconda, altrettanto importante, è che la sua composizione rispetti effettivamente i vari orientamenti della società civile. Né l’una né l’altra condizione mi sembrano al momento date. E’ ovvio che se anche il Consiglio del pubblico presenta le stesse derive politiche delle redazioni dell’informazione, o addirittura è composto da ex giornalisti della RSI,  il suo ruolo diventa quello di una semplice foglia di fico che non convince nessuno.
Per la svizzera italiana, per il suo riconoscimento come parte integrante del paese, sono tempi difficili. 13 anni di assenza dal Consiglio federale; alti funzionari a Berna pochissimi; la stessa Confederazione che nemmeno si degna di pubblicare i concorsi pubblici in tre lingue; Cantoni che, uno dopo l’altro, tagliano sull’insegnamento dell’italiano ritenendolo semmai un gradevole ammennicolo quando non un peso imposto, ma di certo non una ricchezza o un’opportunità da trasmettere, anche Oltralpe, alle nuove generazioni. E l’elenco delle doglianze potrebbe continuare. Contro questa tendenza non servono vacui comitati unilaterali creati solo per dar lustro all’ego dei  rispettivi promotori. Ci vuole un canale forte. La RSI può esserlo, ma deve tornare ad essere credibile. Davanti a tutti, e non solo davanti ad alcuni. In Ticino prima che Oltregottardo. Non si può essere ambasciatori credibili se ci si è giocati il sostegno in casa propria. Questa è la sfida, importante e difficile, che attende la CORSI.
Lorenzo Quadri