Ma guarda un po’. A maggioranza per 47 voti a 31 e 3 astenuti, il Gran Consiglio la scorsa settimana ha bocciato l’iniziativa parlamentare elaborata presentata dalla deputata leghista Amanda Rückert che mirava ad introdurre nella Legge sulla cittadinanza ticinese e sull’attinenza comunale (LCCit) il criterio del mantenimento autonomo e durevole quale presupposto per l’ottenimento della cittadinanza elvetica. In sostanza: niente naturalizzazione (per legge) a chi è in assistenza.

Nel Canton Berna questo sacrosanto principio è stato addirittura inserito, previa votazione popolare, nella Costituzione cantonale. La modifica costituzionale ha ottenuto la garanzia federale ad inizio maggio, assieme al divieto di burqa ticinese. E’ evidente che quello che fa il Canton Berna lo può fare anche il Ticino. Altro che blaterare di modifiche anticostituzionali, come ha fatto qualcuno in parlamento la scorsa settimana!

 

Gretti e razzisti?

Certo, i kompagni ro$$o-verdi non hanno mancato di mettersi a strillare scandalizzati contro la modifica bernese. Per loro, il passaporto svizzero va concesso a chiunque lo chieda, senza se né ma. Già il solo fatto che venga richiesto – questa l’allucinante teoria – dimostra che il candidato è sufficientemente integrato.

L’obbiettivo di una simile “strategia” (?) è duplice. Da un lato svilire il passaporto svizzero, e con esso la Svizzera e suoi simboli. Gli svizzeri “gretti e razzisti” devono aprirsi! Dall’altro abbellire le statistiche degli stranieri. Eh già. In Svizzera abbiamo il 25% di stranieri. E’ notizia dei giorni scorsi. Ciò significa che un abitante su quattro non ha il passaporto rosso. E’ stata polverizzata, da tanti anni ormai, quella soglia del 20% che secondo l’iniziativa Schwarzenbach appariva come invalicabile. La Svizzera è il paese che in percentuale accoglie più immigrati, ma anche asilanti. Mentre il Ticino è uno dei Cantoni che naturalizza di più.

Però noi – sempre e solo noi – “dobbiamo aprirci”.

 

Esigenza di equità

Diventare svizzeri significa da un lato ottenere il diritto di voto, dall’altro avere la certezza di non-espulsione dal paese, qualsiasi cosa accada. Visto che avere il passaporto svizzero qualcosa ancora “vale”, è evidente che la sua concessione non può essere fatta alla leggera. E l’autonomia finanziaria è sicuramente un criterio di cui bisogna tenere conto. Prima di tutto, sarebbe il colmo se si premiasse lo straniero a carico del sociale con il passaporto rosso. Stabilire che il mantenimento autonomo e durevole è un requisito indispensabile per diventare cittadini svizzeri risponde ad un’evidente esigenza di equità. Inoltre funge da deterrente all’immigrazione nello Stato sociale.  Un ambito in cui il lavoro da fare di sicuro non manca.  In questo senso va di pari passo con il ritiro dei permessi B a chi va in assistenza.

 

Doppio passaporto

Quando si parla di naturalizzazione non si può non parlare di doppi passaporti. Non ci si venga a raccontare la storiella del legame affettivo con il paese d’origine. Un legame, se affettivo, non ha bisogno, per definizione, del pezzo di carta. Il doppio passaporto viene mantenuto per ragioni molto pratiche: estrarre ora l’uno, ora l’altro documento a seconda della convenienza. E allora non è corretto che il naturalizzato si trovi avvantaggiato rispetto allo svizzero di nascita. Inaccettabile è poi il doppio passaporto dei politici. Proprio i politikamente korretti, quelli che vedono conflitti d’interesse ovunque (ma solo quando si tratta degli altri) non solo rifiutano di vedere quello tra due nazionalità, ma addirittura lo magnificano. Ennesima dimostrazione di morale a senso unico. Chi ambisce a gestire la cosa pubblica svizzera deve pur essere in grado di fare una chiara scelta di campo tra il paese che afferma di voler servire ed un altro.

Lorenzo Quadri