I segnali negativi per il Ticino si moltiplicano. Il traballante premier italiano Enrico Letta è tornato a parlare di “andare a prendere i soldi degli italiani” che si trovano in Svizzera. E naturalmente il Consiglio federale risponde immediatamente “presente”. Tanto ad andarci di mezzo in termini di posti di lavoro e di entrate fiscali sarà il Ticino, mica l’Altopiano: per cui chissenefrega.

Il Consiglio federale, ed in particolare la ministra del 5% Widmer Schlumpf, scatta sull’attenti non appena l’Italia (o qualsiasi altro Stato) fa un “cip”.

Invece, di dare soldi all’Italia non c’è alcuna fretta, dal momento che la Penisola già riceve indebitamente dalla Svizzera i ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri. Inoltre, l’Italia non perde un’occasione per prodursi in iniziative più o meno puerili di boicottaggio ai danni del nostro paese: dalle black list illegali al blocco dei turisti cinesi in dogana. A ciò si aggiunge l’incoraggiamento, leggi aizzamento, ai disoccupati della vicina Penisola ad utilizzare il Ticino come valvola di sfogo. Ossia, a cercare lavoro in Ticino a danno dei residenti. 

Né si può dimenticare che l’Italia viene sistematicamente meno ad i propri impegni internazionali nei confronti del nostro paese. La débâcle della tratta italiana della ferrovia Stabio-Arcisate parla da sé. AlpTransit non andrà a finire meglio. Il danno sarà nettamente maggiore, e questo per una semplice questione di numeri: noi svizzerotti spenderemo 25 miliardi di Fr di tasca nostra per un’AlpTransit monca. Analogo il discorso per il cosiddetto corridoio di 4m per il trasbordo su rotaia delle merci: se la Svizzera vuole che la vicina Penisola faccia la propria parte, dovrà farsi carico dei costi. La fattura, già lo si sa, ammonterà a 230 milioni di Fr.

Fare regali a chi ci boicotta?

Questo per dire che non abbiamo assolutamente alcun motivo per fare regali all’Italia in materia di accordi fiscali. Accordi  che andrebbero, naturalmente, tutti a nostro danno. Si tradurrebbero infatti nella perdita di migliaia di posti di lavoro in Ticino e di svariati milioni di introiti fiscali. Per quale motivo dovremmo essere collaborativi, col risultato di danneggiare pesantemente l’economia ed il mercato del lavoro ticinese, con chi ci prende a pesci in faccia?

Quello che ha in mente l’Italia non è uno scudo fiscale. L’obiettivo è quello di rimpatriare una settantina di miliardi col risultato che dalla piazza finanziaria ticinese sparirebbero almeno 3000 posti di lavoro. E possiamo stare sicuri che a venire lasciati a casa saranno i ticinesi ed i residenti, mentre i frontalieri rimarranno al loro posto. Non basta che, a seguito della devastante libera circolazione delle persone, frontalieri e padroncini arrivino in Ticino a lavorare al posto dei ticinesi. Adesso la vicina Penisola vorrebbe anche sottrarre, contando sulla vergognosa debolezza della ministra del 5% e dei suoi degni compari, impieghi “pregiati” al Ticino; posti per gran parte occupati dai ticinesi. Le grandi banche se ne infischiano, perché una piazza finanziaria vale l’altra: se i soldi rientreranno in Italia, vorrà dire che sposteranno attività in Italia, assumendo italiani. Il nostro Cantone, quindi, già devastato dall’invasione di frontalieri e di padroncini, resterà ulteriormente depauperato.

Nel gruppo di lavoro neanche un ticinese

Il criminale disinteresse della ministra del 5% nei confronti della piazza finanziaria ticinese emerge al di là di ogni dubbio dalla composizione del nuovo gruppo di esperti per lo sviluppo della strategia in materia di mercati finanziari. Ebbene, in questo gruppo non c’è neanche un ticinese. Non un cane che rappresenti la terza piazza finanziaria della Svizzera e che conosca le problematiche nelle relazioni con la vicina ed ex amica Penisola. Questo, è evidente, può voler dire solo una cosa: che Berna ha già svenduto la piazza finanziaria ticinese agli italici.

Lorenzo Quadri