La scorsa settimana il direttore del DECS Manuele Bertoli ha dichiarato che bisogna aumentare le tasse. Per tutta risposta, il suo collega a capo del DSS Paolo Beltraminelli ha replicato che bisogna invece tagliare un anno di liceo. Magari se i Consiglieri di Stato si occupassero anche dei rispettivi campi d’attività, non sarebbe un male.
La proposta di accorciare il liceo di un anno fa tuttavia il paio con una dichiarazione di qualche tempo fa da parte del ministro dell’economia Johann Schneider Ammann. Il quale ha detto che dovrebbero esserci più apprendisti e meno accademici, perché queste sono le esigenze del mercato del lavoro.
Questa teoria è peraltro messa in pratica anche nelle scuole medie di taluni Cantoni d’Oltregottardo, dove ci si applica per “segare bassi” ragazzini di 12-13 anni con l’obiettivo di orientarli verso la Realschule e non verso il liceo.
E’ certo che anche in materia di formazione, un cambio di mentalità non farebbe male.  Fino al recente passato l’apprendistato era visto come una formazione di serie B, al livello del marchio d’infamia. Adesso ci si rende conto che magari offre più sbocchi della formazione accademica. Un patrimonio da riscoprire e da preservare dall’invasione da Oltreconfine. Non fosse che il DECS fa proprio il contrario.
Altra formazione storicamente gettonata era quella commerciale. Con i chiari di luna attuali sulla piazza finanziaria, tuttavia, è decisamente meglio dimenticarsela. Non solo infatti si cancelleranno, grazie alla capitolazione bernese sul segreto bancario, migliaia di posti di lavoro; a ciò si aggiunge che la libera circolazione delle persone sta avendo conseguenze devastanti proprio nel terziario amministrativo, dove il numero dei frontalieri continua a crescere senza controllo. 
Ci sono poi formazioni, ad esempio di tipo letterario, che sono garanzia di disoccupazione. Dovrebbero avervi accesso solo gli ereditieri e le ereditiere che non avranno mai bisogno di lavorare.
Per anni la scuola non ha saputo prevedere l’evoluzione del mercato del lavoro ed orientare i giovani, e le famiglie, di conseguenza. La disoccupazione giovanile è una dura realtà non solo per chi ne è direttamente colpito, ma anche per la collettività che finanzia delle formazioni senza speranza. E’ pur vero che puntare il dito contro la mancanza di preveggenza dell’uno o dell’altro è sempre facile. Nessuno fino a qualche anno fa avrebbe potuto immaginare l’ampiezza della crisi che sarebbe piombata addosso all’Europa. Ma il deterioramento delle condizioni occupazionali ticinesi  a seguito di libera circolazione delle persone, per contro, era prevedibile eccome. Ma non lo si è voluto vedere. C’è chi, come la SECO, rifiuta di vederlo tutt’ora.
Ma una colpa, grossa, nei confronti dei giovani e della società il sistema scolastico l’ha sicuramente. Quello di avere per troppi anni cullato i giovani (e le loro famiglie) nella micidiale chimera buonista del “seguite la formazione che vi piace, tanto un lavoro lo troverete”. Questa è un’ allarmante panzana buonista che ha fatto solo disastri. Il lavoro non è un piacere. Non lo è mai stato. Solo pochi hanno la fortuna di poter fare quello che veramente volevano. Tutti gli altri devono trovare un modus vivendi.  Ma avere un lavoro che non entusiasma è sempre meglio che non averne affatto. Prima ci si rende conto di questa realtà, meglio è. 
Lorenzo Quadri