Se la dirigenza del Gigante giallo ne fa peggio di Bertoldo, è perché il CF dà corda
E‘ un po’ di tempo che sugli smantellamenti di uffici postali sembra calato il silenzio. Con l’eccezione di Balerna: lì il municipio che ha annunciato il ricorso al Tribunale federale contro la conferma della chiusura.
Intanto la Posta, guidata dalla direttrice generale Susanna “un milione all’anno” Ruoff, prosegue imperterrita per la propria strada, adducendo le consuete scuse farlocche.
Ricordiamo che la Posta non deve affatto tirare la cinghia per salvare la baracca, dal momento che realizza ben 800 milioni di utili all’anno.
I venti minuti
Come noto la Posta si nasconde dietro la regola dei venti minuti: quella che prescrive che un ufficio postale deve essere raggiungibile dall’utenza in venti minuti a piedi o coi mezzi pubblici. Peccato che per l’utenza anziana la camminata di 20 minuti non sia necessariamente un’opzione praticabile. E peccato pure che i mezzi pubblici devono anche esserci, e se ci sono bisogna vedere con quale cadenza transitano, e quanto tempo ci mette il cittadino a raggiungere la fermata più vicina. Perché questi venti minuti possono tranquillamente trasformarsi in ore.
La Doris approva
E’ chiaro: se l’attuale dirigenza postale si permette di smantellare un’ex regia federale, che un tempo era anche un simbolo della nazione, è perché il Consiglio federale le dà corda. La Doris uregiatta ha sempre sostenuto le scelte del fu Gigante Giallo, che si riempie la bocca con le “mutate abitudini della clientela” e con la “digitalizzazione” (che goduria pappagallare ad oltranza questo trermine così trendy) per giustificare la chiusura non di due o tre uffici postali periferici che non frequenta nessuno, ma di 600 uffici su 1300 da qui al 2020: quindi praticamente uno su due. E’ infatti noto che vengono chiusi anche uffici che sono frequentati. Ma la Posta, chissà come mai, non si sogna di fornire cifre a proposito del numero di utenti degli uffici destinati alla rottamazione.
Da notare che anche a livello di Postfinance si parla di riorganizzazioni ed esternalizzazioni. Tradotto in italiano, questo significa perdita di posti di lavoro.
Alternative?
A giustificazione degli smantellamenti la direttrice generale della Posta Susanna “un milione all’anno” Ruoff ama raccontare la fetecchiata delle “alternative”. Ovvero, non si chiudono uffici postali senza fornire delle alternative: in genere sotto forma di agenzia rifilata a qualche negozio locale. Peccato che le prestazioni svolte dalle agenzie non siano le stesse che vengono offerte in un ufficio postale e che sbrigare operazioni postali, ad esempio, al banco dei salumi, non pare propriamente il massimo della vita. Visto inoltre che vengono chiusi anche uffici frequentati, non necessariamente l’indennità pagata ai gestori delle agenzie copre il lavoro svolto.
Ma soprattutto: non si fornisce alcuna garanzia sulla durata di queste alternative. Per infinocchiare i cittadini, la Posta racconta che con le agenzie postali favorirebbe la sopravvivenza dei negozietti di paese. Il che è tutto da dimostrare: in effetti, se il negozietto chiude, salta anche l’agenzia postale ed il servizio non c’è più.
Il bello è che, non ancora contenta, la Posta si vanta pure del fatto che la consegna della corrispondenza al domicilio rimane garantita. Ah beh, ci mancherebbe anche che per ricevere le lettere il cittadino fosse costretto ad affittare, naturalmente a proprie spese, una casella postale nei centri urbani…
Servizio solo dove rende?
Il problema è da un lato imprenditoriale: la Posta dispone di una rete di prossimità sottoforma di uffici postali; un bene prezioso che, invece di capitalizzare, vuole smantellare. Dall’altro è di servizio pubblico. La Posta vorrebbe fornirlo solo dove è redditizio. Peccato che il concetto di servizio pubblico non sia esattamente questo.
Oltretutto, nemmeno ci sono garanzie che dopo il 2020 la moria di uffici postali sarà terminata e che non comincerà una nuova fase di tagli.
Nella sessione autunnale il Consiglio degli Stati, contro il parere del Consiglio federale, ha approvato una mozione che chiede al governo di “esigere dalla Posta la presentazione di un progetto di pianificazione della rete postale. Il Consiglio federale sottoporrà al Parlamento entro un anno una proposta di revisione dei criteri che definiscono il servizio pubblico nella legislazione concernente la Posta. Tali criteri dovranno tenere conto delle particolarità regionali, delle condizioni specifiche di mobilità, nonché delle diverse categorie di utenti dei servizi postali”. La stessa mozione è stata approvata a larga maggioranza dalla Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni del Consiglio nazionale nella sua ultima seduta.
Serve una moratoria
Certamente è un passo avanti ma non è abbastanza. Che nel corso degli anni il mondo sia cambiato e che la Posta non può più essere uguale a trent’anni fa, è chiaro a tutti. Non è per nulla chiaro, invece, dove il fu Gigante giallo intende realmente andare a parare: con gli uffici postali, con i posti di lavoro, col servizio pubblico, con Post finance. Una moratoria, ossia uno stop, agli smantellamenti, sembra al momento la soluzione più adeguata, finché non ci sarà la necessaria trasparenza.
Lorenzo Quadri