Il TAR annulla la discussa assunzione di direttori stranieri per sette “supermusei”
Ma noi svizzerotti siamo proprio gli unici fessi che devono sempre – ed autolesionisticamente – “aprirsi”?
Ma chi l’avrebbe mai detto! Il Tribunale amministrativo del Lazio (TAR) ha annullato la nomina di sette direttori stranieri alla guida di altrettanti super-musei italiani. La nomina, avvenuta due anni fa, aveva fatto urlare allo scandalo. Giustamente: ci mancherebbe che una terra di cultura come il Belpaese non trovasse “in casa” dei direttori per i suoi musei. Adesso a rimettere la situazione in carreggiata ci pensa il TAR. Il quale, senza tanti giri di parole, sentenzia: il bando che ha portato alla nomina di quei direttori stranieri “non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani”. Da notare che qui si parla di cittadini dell’UE. Ma evidentemente il principio della “non discriminazione” nel Belpaese viene applicato a geometria variabile. Solo gli svizzerotti fessi insistono nell’applicarlo sempre e comunque e soprattutto contro i propri interessi (e quelli dei propri cittadini). Perché bisogna calare le braghe. “Bisogna dare l’esempio”, come da un po’ di tempo a questa parte ama ripetere la ministra del “devono entrare tutti” kompagna Simonetta Sommaruga. Un noto critico d’arte del Belpaese (che tra l’altro era insorto contro le nomine di direttori museali stranieri) esclamerebbe: “capre!”.
A senso unico?
Dunque, il Tribunale amministrativo del Lazio ha benedetto la “preferenza indigena”. Ma guarda un po’: peccato che, non appena in Ticino o in Svizzera si osa formulare questo concetto, ecco che al di là della ramina si mettono a starnazzare come germani reali, con tanto di accuse di razzismo e di discriminazione. Ci ricordiamo bene la scandalosa cagnara contro il 9 febbraio, contro Prima i nostri e addirittura contro la sacrosanta dichiarazione di Norman Gobbi a proposito dell’assunzione di stranieri all’ufficio della migrazione.
Il dramma è che al di qua della ramina, e soprattutto a Berna, c’è sempre qualche Strix aluco, volgarmente detto allocco, pronto a dar retta alle rimostranze ipocrite pro-saccoccia in arrivo da sud. Eppure agli italici dovrebbe essere evidente che non si può applicare la preferenza indigena in casa e poi però pretendere di impedire agli altri di fare la stessa cosa. Ed in particolare di impedirlo agli svizzerotti perché il Ticino è – e deve restare – terra di conquista. Ciononostante, ad ogni tentativo di “legittima difesa” da parte elvetica parte il disco del razzismo anti-italiano, della xenofobia o – nella migliore delle ipotesi – del protezionismo. Con tanto di interpellanze a Bruxelles dell’isterichetta eurodeputata di turno (magari scritte dalla mamma).
E, nella Penisola, quello dei direttori di musei non è un caso isolato. I vicini a sud sono bravissimi nell’evitare quelle “aperture” che però pretendono dagli altri per poterne approfittare senza ritegno.
Un tribunale da ammirare
Il TAR del Lazio, d’altra parte, merita la nostra ammirazione. In molti infatti, a partire dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini e dall’ex premier non eletto Matteo Renzi, hanno sbroccato contro la sentenza, ricordando che i direttori di cui è stata annullata l’assunzione poiché stranieri sono cittadini UE. Che si tratti di cittadini dell’Unione europea, evidentemente, lo sapeva anche la corte giudicante. Tuttavia ha deciso lo stesso che non si potevano assumere stranieri. Comunitari od extracomunitari che fossero. Chapeau. Tribunali così dovremmo averli anche dalle nostre parti. Dove invece accade l’esatto contrario: i giudici spalancatori di frontiere applicano il proprio margine di manovra per prendere decisioni pro-libera circolazione e contro l’interesse cantonale. Il Tram è perfino riuscito a stabilire che chiedere, quale requisito per l’assunzione dei docenti delle scuole pubbliche cantonali, la conoscenza delle lingue nazionali “sa po’ mia”. Evidentemente il requisito era stato introdotto dal Consiglio di Stato per frenare l’assalto alla diligenza scolastica da parte di candidati italici. Ma il Tram l’ha cancellato.
Morale della favola: un tribunale come il TAR che difende la preferenza indigena a costo di farsi impallinare dalla “casta” l’avremmo bisogno anche noi come del pane. Invece ci troviamo con legulei spalancatori di frontiere.
Lorenzo Quadri