La migrazione non può essere affare privato. Non si gestisce una crisi con i moralismi

La Confederella si sta impantanando sempre di più nella guerra in Ucraina. La neutralità svizzera è stata precipitosamente rottamata. Non ci crede più nessuno. Sono solo i politicanti con la coda di paglia a pappagallare, contro ogni evidenza, che la neutralità c’è ancora. Ma non è ripetendo compulsivamente che gli asini volano che ai simpatici equini spuntano le ali.

Pretendere altro

E’ nel frattempo diventata inascoltabile la squallida e ricattatoria storiella secondo cui neutralità significherebbe indifferenza. Chi la racconta nel vano tentativo di fabbricare giustificazioni, stadenigrando un principio fondante della Svizzera moderna. E non è con l’isteria e con i moralismi un tanto al chilo che si gestisce una crisi: da degli (s)governanti abbiamo tutto il diritto di pretendere altro.

Mentre a Berna si starnazza, l’Austria, Stato membro UE e nostra vicina di casa, si è smarcata da Bruxelles. Vienna ha dichiarato che, se una sanzione colpisce in modo eccessivo chi la infligge, è una boiata. Un principio elementare. Ma sotto le cupole federali pare non ci arrivino. Lo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla negli anni Settanta pubblicò un breve saggio satirico dal titolo: “Le leggi fondamentali della stupidità umana”. Lettura consigliata ai troppi esagitati politichetti in perpetua fregola di visibilità mediatica.

Odiatori rossi

Gli “hater” della $inistra, tanto per non farsi mancare niente, invocano ora la caccia alle streghe nei confronti degli oligarchi russi. Costoro pretendono di mettere in piedi una task force (uella!) per scovarne le palanche depositate in Svizzera. Inoltrestrillano contro la SECO rea – a loro dire – di non fare abbastanzasu questo fronte.

Proprio i kompagnuzzi, quelli che vogliono fare entrare tutti i delinquenti stranieri, esigono misure lesive del diritto nei confronti dei ricconi russi (altro che continuare a sciacquarsi la bocca con la manfrina della “legalità”).  Intanto nei giorni scorsi abbiamo appreso che un quinto degli adolescenti residenti in Svizzera gira con un coltello in tasca. Forse che i $inistrati si chiedono la nazionalità di questi ragazzi, essendo manifesto che la cultura del coltello non è certamente retaggio locale? Non sia mai! Il problema nazionale sono i borsoni della Moscovia!

Si bulla pure

Colmo dei colmi: sul tema del congelamento degli averi dei cosiddetti “oligarchi”, in conferenza stampa tale Erwin Bolliger, ambasciatore e responsabile delle relazioni bilaterali presso laSegreteria di Stato dell’economia (SECO) si è sentito in dovere di dichiarare che la Svizzera è il paese che ha bloccato i patrimoni più consistenti. E magari senza nemmeno un’adeguata base legale.

Qui si è davvero perso il “patàn”.

Il presidente di turno della Confederella che partecipa ad una manifestazione di piazza a sostegno di uno Stato belligerante; il responsabile della SECO che si bulla che il nostro è il Paese più attivo nel congelamento dei patrimoni di privati cittadini russi. E qualcuno ha la lamiera di sostenere che la Svizzera sarebbe ancora neutrale?

Delle due l’una

Intanto la guerra continua e l’esodo dall’Ucraina pure. Adesso si parla di un afflusso di 30mila profughi al mese. Il che significa ritrovarsi nel giro di poco tempo con l’equivalente di un Cantone in più. Dove si pensa di alloggiare queste persone? Nelle caselle postali?

Bisogna avere il coraggio di dire apertamente che accogliere tutti non è possibile.

E, malgrado la macchina del fango attivata dagli immigrazionisti, bisogna tenere sempre presente che la priorità numero uno è il rimpatrio dei profughi. La Svizzera non è in condizione di far fronte ad un’immigrazione epocale di gente che arriva per rimanere. In particolare non lo è il Ticino, con il suo mercato del lavoro sfasciato dalla libera circolazione (grazie, partitocrazia!).Perché delle due l’una: o i profughi lavoreranno a scapito dei ticinesi, facendo salire la disoccupazione; oppure andranno in assistenza, con conseguente esplosione della spesa sociale in tempo di crisi nera. Bisogna poi tenere conto anche dei costi della salute provocati dall’immigrazione (già per l’anno prossimo si prospettano aumenti dei premi di cassa malati vicini al 10%). Inoltre, i bimbi vanno scolarizzati: servono aule e docenti di lingua ed integrazione. Le scuole non si possono allargare come fisarmoniche.

Già predisposto?

E’ illusorio immaginare che le differenze culturali e di mentalità tra ucraini e svizzeri non provocheranno tensioni. E intanto la popolazione residente viene esasperata con regali improvvidi a beneficio dei profughi. Vedi abbonamento generale per i mezzi pubblici (ed i $ocialisti colgono la palla al balzo per pretendere che venga offerto, a spese nostre, anche ai migranti economici che non scappano da nessuna guerra); vedi abbonamenti telefonicigratis (ovvero a carico del resto dell’utenza); vedi anche i 3000 franchi a testa per i corsi di lingua. Ma come: la disoccupazione rifiuta di finanziare i corsi di lingua (tedesco o inglese) ai senza lavoro ticinesi che ne avrebbero bisogno per riqualificarsi, però lo Stato paga le lezioni di italiano a persone la cui presenza è solo temporanea?

O vuoi vedere che la casta già sa – ed ha predisposto – che una parte importante dei rifugiati non tornerà più in patria?

“La” domanda

La madre di tutte le domande è questa: quanti rifugiati ucraini, tra un numero imprecisato di mesi (è purtroppo chiaro che la guerra non finirà tanto presto), saranno ancora così convinti di voler tornare a casa appena possibile? Più benessere viene prospettato loro in Svizzera, meno saranno stimolati a rimpatriare in un Paese semidistrutto, con un tenore di vita ed uno stato sociale non certo paragonabili ai nostri, e con la Russia sempre lì di fianco. Una volta superato il primo shock, i rifugiati qualche domandina se la porranno. Altro che rientro, qui si rischia di assistere all’esatto contrario: ovvero ad un ricorso massiccio al ricongiungimento familiare, peraltro previsto dal permesso S con contorni non chiari.

Perché a sud?

C’è poi il problema dell’afflusso “a briglie sciolte” di profughi,gestito e generato da associazioni private estemporanee, spesso composte da cittadini ucraini residenti da noi. Ad un mese e mezzo (!) dall’inizio della guerra, questa modalità deve cessare.

L’immigrazione va controllata dall’ente pubblico – è un compito fondamentale dello Stato! – che deve anche provvedere ad un’equa ripartizione sul territorio.

I profughi ucraini dovrebbero arrivare da Nord, per ovvi motivi geografici. Questo era stato ribadito, subito dopo lo scoppio del conflitto, anche dalla neo-segretaria di Stato della migrazioneChristine Schraner Burgener. Invece il Ticino – quindi il sud della Svizzera – ha già il doppio dei rifugiati che gli toccherebberosecondo le chiavi di riparto stabilite, e concentrati in massima parte nel Luganese (più precisamente: a Lugano) e nel Mendrisiotto.

Di certo non è un caso. Questa situazione qualcuno l’ha creataintenzionalmente. E già si sentono voci su migranti che hanno rifiutato alloggi nella fascia di confine italiana attirati dalle più generose prestazioni svizzere. O di altri che, pur disponendo già di una sistemazione nella vicina Penisola, hanno comunque tentato di trasferirsi in Ticino.

Il Cantone deve pretendere da Berna 1) una politica d’accoglienza realistica: quindi non nel segno del “dentro tutti” e 2) che le quote regionali di attribuzioni dei profughi vengano rispettate.

Lorenzo Quadri