Bisogna invece andare nella direzione opposta, poiché siamo in un regime di naturalizzazioni facili
A Berna le Commissioni parlamentari preposte stanno esaminando la revisione della legge sull’acquisto della cittadinanza svizzera. Che la legge abbia ormai oltre cinquant’anni è assodato, come pure il fatto che presenti delle incongruenze. Tuttavia è importante che la revisione non diventi in nessun caso un pretesto per allargare le maglie o cedere alle consuete baggianate politikamente korrette.
Ogni anno in Svizzera vengono naturalizzate 50mila persone. In Ticino in due decenni il numero dei passaporti rossi concessi annualmente è più che triplicato, passando dagli 800 del 1990 ai 2500 attuali. Questi numeri non indicano affatto, come pretenderebbero i $inistri spalancatori di frontiere, una legislazione troppo rigida, bensì l’esatto contrario: siamo in regime di naturalizzazioni facili. La riuscita, malgrado le iniziali difficoltà nella raccolta firme, dell’iniziativa popolare di Ecopop contro la sovrappopolazione è un segnale chiaro su quale politica degli stranieri vuole la gente: è ora di chiudere i rubinetti. Anche nelle naturalizzazioni, usate peraltro come escamotage per abbellire le statistiche degli stranieri residenti in svizzera: i naturalizzati, infatti, da queste statistiche spariscono, mitigando così i risultati di un’immigrazione fuori controllo. Fuori controllo perché la Svizzera, con i devastanti Accordi bilaterali, ha vergognosamente abdicato da uno dei compiti fondamentali di uno Stato: decidere quanti stranieri vuole accogliere.
Tornando alle naturalizzazioni, su alcuni punti occorre essere granitici.
1) La naturalizzazione è un atto politico e non un atto amministrativo. La comunità decide liberamente chi vuole accogliere come nuovo cittadino svizzero. Non esiste un diritto all’ottenimento del passaporto rosso.
2) Tra i requisiti di naturalizzazione deve figurare l’autonomia finanziaria. Non si naturalizzano persone a carico dello Stato sociale.
3) Il sistema federalista va confermato: prima decidono i Comuni, che conoscono i candidati, poi il Cantone.
4) Le commissioni comunali devono avere la possibilità di visitare il candidato al proprio domicilio, poiché in questo modo emergono degli ulteriori elementi utili a valutare l’integrazione del candidato.
5) Si decide se naturalizzare o meno un richiedente in base alla sua effettiva integrazione e non di sicuro in base alla capacità di imparare a memoria i vari “bigini” sulla nostra realtà, generosamente offerti da alcuni Comuni (e nümm a pagum). Non è perché un candidato la sera prima dell’esame si è studiato a memoria il nome del fiume X o della valle Y o dei Consiglieri federali che è integrato.
6) Le votazioni si devono fare sul singolo candidato e non a blocchi, come accade invece in Gran Consiglio.
7) Le votazioni in Consiglio comunale sulla concessione o meno del passaporto rosso devono essere segrete, questo per non esporre i membri del Legislativo a rischi di rappresaglie o a pressioni indebite da parte dei candidati o del loro parentado.
Queste sono solo alcune delle molte considerazioni che vanno fatte quando si parla di concessione della cittadinanza Svizzera, che è un atto politico della massima importanza. Pertanto, non deve assolutamente venire sminuito o svalutato da quelle forze politiche che regalerebbero il passaporto rosso a chiunque lo chieda, nel tentativo di farsi nuovi elettori!
Lorenzo Quadri