Nei giorni scorsi è apparsa sui giornali l’inserzione di una ditta con sede a Chiasso che cerca un programmatore… a patto che sia frontaliere: il requisito del domicilio nei Comuni italiani della fascia di confine è messo nero su bianco nell’annuncio, con una sfacciataggine che fa rabbrividire (vedi articolo a pag. 13).
Se il candidato deve per forza essere frontaliere, un qualche motivo ci sarà: e non ci vuole molta fantasia per immaginare che si tratta di dumping salariale.
Sicché i ticinesi vengono ora esplicitamente esclusi dal mercato del lavoro, in casa propria. E mentre questa situazione, provocata da chi ha voluto e magnificato la libera circolazione delle persone – vale a dire partiti $torici, sindacati e padronato – si palesa ora in tutta la propria vergognosa insostenibilità, ecco che a Berna si accelera il riconoscimento dei diplomi UE di medici e personale di cura in arrivo dai paesi confinanti. E’ il colmo!

Bisogna andare nel senso opposto
Stiamo proprio perdendo la trebisonda. La libera circolazione delle persone ha dimostrato le proprie conseguenze devastanti sul mercato del lavoro – provocando disoccupazione, povertà e dumping salariale a danno degli svizzeri, ed in particolare di quelli che vivono nelle zone di confine – ma anche in materia di sicurezza (vedi le epidemie di furti in casa di questa settimana).
Quindi, la libera circolazione delle persone va ostacolata con ogni mezzo a nostra disposizione, nell’attesa che l’accordo salti. Invece a Berna si fa proprio il contrario e si continua ad agevolare l’arrivo scriteriato in Svizzera di lavoratori UE di ogni ordine e grado e settore. Adesso è il turno del personale sanitario. Questo quando si sa benissimo che la reciprocità è tutt’altro che data perché i paesi a noi confinanti – e specialmente l’Italia – sanno benissimo come fare per evitare che gli svizzerotti portino via il posto ai “loro”.
Il riconoscimento accelerato di diplomi UE (in qualsiasi ambito) è un segnale sbagliatissimo, dal momento che la situazione venutasi a creare sul mercato del lavoro ticinese impone due messaggi all’UE in senso esattamente opposto:
1)    applicazione immediata della clausola di salvaguardia (per quanto quest’ultima non riguardi i frontalieri, vedi articolo a pag 13);
2)    Il blocco del rilascio dei permessi G per lo meno in quei settori dove si sa benissimo che i frontalieri soppiantano i ticinesi.
Come se non bastasse, il livello di formazione nella fallimentare UE in varie professioni sanitarie è inferiore a quello elvetico. Per obbedire ai padroni europei si mette dunque a rischio la salute della gente!
Da notare che il riconoscimento accelerato dei diplomi viene salutato favorevolmente dall’Unione $indakale Svizzera, che si identifica col Partito $ocialista. Tanto per chiarire da che parte stanno i $indakati di $inistra; altro che difendere l’impiego dei residenti.
Quanto ad illudersi, come fanno i rappresentanti dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) che la conseguenza dell’ennesima calata di braghe nei confronti dell’UE  – di cui siamo ormai diventati la riserva di caccia occupazionale, il tutto ovviamente a nostro danno –  sarà un accesso facilitato dei lavoratori svizzeri ai Paesi europei: vuol dire credere ancora a Gesù Bambino.
Un po’ come disse un ex presidente del PLR: «Con la libera circolazione delle persone i nostri giovani potranno lavorare a Milano». Come no!
La realtà è una sola: per l’ennesima volta ci siamo prostrati davanti agli eurobalivi, e per l’ennesima volta il prezzo di questa politica del servilismo promossa da Berna la pagheranno i cittadini elvetici. Primi fra tutti, quelli delle zone di confine.
Lorenzo Quadri