Un “No” il 29 aprile potrebbe costare caro al Ticino. A pagare sarebbe il ceto medio
Il Ticino in campo di fiscalità è fermo al palo da 15 anni. Un’eternità, dati i ritmi di trasformazione della nostra società. In 15 anni è cambiato il mondo. Altri Cantoni sono stati assai più dinamici (non ci voleva poi tanto). I risultati si vedono: la concorrenzialità fiscale del Ticino è ormai un lontano ricordo. Il nostro Cantone è infatti al 22° posto della graduatoria nazionale per quel che riguarda l’imposizione della sostanza, ed al 18° per quella del capitale.
Se qualcuno leva le tende…
In generale, la struttura del gettito ticinese è particolarmente fragile. Nel senso che pochi grossi contribuenti pagano una fetta importante del gettito. Conseguenza: se qualcuno di questi “pochi e grossi” leva le tende, nelle casse pubbliche mancano tanti soldoni. E quando mancano le entrate, ci sono solo due opzioni. O si taglia la spesa (cosa che però il triciclo PLR-PPD-P$ si è dimostrato incapace di fare) o si aumentano le imposte.
Il che nel caso concreto significa mettere le mani nelle sempre più esauste tasche del già tartassato ceto medio. In tempi recenti, grazie in particolare ai ministri delle finanze liblab, lo si è già fatto. Vedi le stime immobiliari dopate per mungere meglio i proprietari di una casetta o appartamento; vedi lo sciagurato moltiplicatore cantonale.
A proposito
L’incapacità dimostrata dal “triciclo” di contenere la spesa pubblica rende tra l’altro quasi un “must” l’introduzione del referendum finanziario obbligatorio, che peraltro già esiste e funziona in 18 Cantoni. I cittadini sanno infatti essere più oculati dei politicanti nell’utilizzo dei soldi pubblici. Ben lo dimostra, ad esempio, l’asfaltatura del credito da 3.5 milioni per la partecipazione del Ticino ad Expo2015 (un semplice regalo all’Italia, sventato dalla Lega che lanciò il referendum).
PLR e PPD ostaggio della $inistra
L’abbiamo già scritto: la riforma fisco-sociale su cui saremo chiamati a votare non è nemmeno una “riforma”. E’ al massimo un ritocco. Dall’ammucchiata PLR-PPD-P$ non ci si può aspettare altro. Come diceva Don Abbondio: il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Niente di strano: in casa PLR i liberali sono messi peggio dei panda, e a presiedere quello che dovrebbe essere il “partito dell’economia” c’è un funzionario della Confederella; il PPD, dal canto suo, è in balia di un paio di deputati-sindacalisti in fregola di visibilità. Con dei simili partiti “borghesi”, qualcuno si aspetta forse che da Palazzo delle Orsoline possano uscire degli sgravi fiscali degni di questo nome? Cioè delle misure che considerino il ceto medio e le persone singole? Ma è come credere a Babbo Natale e al coniglio di Pasqua.
Già solo il termine “sgravi fiscali” sembra essere diventato un tabù linguistico. Si preferisce parlare pudicamente di “riforme”. Intanto il “tassa e spendi” imperversa. E le forze cosiddette di “centro” sono ostaggio dei $inistrati. I quali, ad ogni minimo ritocco verso il basso dell’imposizione fiscale, strillano istericamente ai presunti “regali ai ricchi”. Chiaro: i kompagni vogliono il maggior numero possibile di poveri. Ne importano a go-go anche dall’estero (i migranti economici che “devono entrare tutti”). Così il business rosso del sociale si gonfia come una mongolfiera, e svariati menatorrone della gauche-caviar ci tettano dentro.
Gettito a rischio
Peccato che se i tanto odiati “ricchi” sloggiano dal Ticino, il conto lo paga poi il ceto medio. Il quale, peraltro, non dispone di alcuna garanzia per il futuro. Grazie alla devastante libera circolazione delle persone voluta dalla partitocrazia PLR-PPD-P$ e al conseguente sfacelo del mercato del lavoro ticinese, chi oggi fa parte del ceto medio nel giro di poco tempo potrebbe facilmente ritrovarsi in quello basso: e quindi non essere più in grado di pagare le imposte.
E’ pertanto evidente che il gettito fiscale ticinese è a rischio: la riforma – in realtà una “riformetta mignon” – su cui andremo a votare il 29 aprile serve a metterlo un po’ “in sicurezza”. Va dunque sostenuta, alla faccia del populismo di $inistra. Affossarla significherebbe esporsi al rischio di importanti perdite fiscali, che all’ente pubblico costerebbero assai più della riforma fisco-sociale. Il prezzo di quest’ultima è stimato in 22 milioni di Fr per il Cantone e 16 per i Comuni. Più o meno quello che dovremmo pagare per la riforma-Bertoli “La scuola ro$$a che verrà”, che mira a sabotare la scuola pubblica ticinese nel segno dell’egualitarismo e del livellamento verso il basso. Ergo, basta far saltare la perniciosa scuola ro$$a – firmate il referendum! – e i costi della riformetta fisco-sociale sono già coperti.
Legame indissolubile
I provvedimenti fiscali – che come detto costituiscono un intervento minimalista per scongiurare il peggio, altro che “riforma” – sono accompagnati da una parte sociale. Si tratta di due facce della stessa medaglia: senza l’aspetto fiscale, non entrano in vigore nemmeno le misure sociali. Questo deve essere chiarissimo a tutti. I $inistrati vorrebbero far credere il contrario: che le misure sociali potrebbero vedere la luce anche da sole. Ma questa è una balla di proporzioni epiche.
La parte sociale avremo modo di approfondirla nelle prossime settimane. Essa è incentrata sulla conciliabilità famiglia-lavoro. Un obiettivo importante di molti enti pubblici. Anche della città di Lugano, che infatti l’ha inserito nelle proprie Linee di sviluppo.
Il colmo
Sarebbe dunque il colmo che ad affossare delle misure per la conciliabilità famiglia-lavoro fossero nientemeno che i kompagnuzzi: proprio loro, che sono soliti riempirsene la bocca ogni due per tre! Ah già: ma la coerenza della gauche-caviar spalancatrice di frontiere è questa. Anche la conciliabilità famiglia-lavoro (come la legalità, come la morale, come i diritti popolari,…) vale solo a senso unico.
Lorenzo Quadri