Si tratta di 1040 tonnellate di metallo giallo. Con le crisi in corso, urge tutelarsi
E’ un po’ che non si sente parlare dell’oro della Banca nazionale svizzera (BNS) e dei luoghi dove esso è depositato. Sono passati otto anni dall’ultima volta in cui il tema è stato oggetto di (più o meno) ampia discussione a livello popolare. Erano i tempi della votazione sull’iniziativa popolare “Salvate il nostro oro”. Essa chiedeva che le riserve auree della BNS dovessero ammontare ad almeno il 20% delle riserve totali, che questo oro fosse inalienabile e che venisse custodito interamente in Svizzera. L’iniziativa venne asfaltata in votazione popolare nel novembre del 2014. La Lega l’aveva sostenuta, soprattutto per l’ultimo punto: ovvero quello che prevedeva di riportare in Svizzera le riserve auree della Banca nazionale. E non si tratta di noccioline. Alla fine degli anni ‘90 la BNS deteneva 2590 tonnellate d’oro: le quarte riserve più consistenti al mondo. Il tesoretto (tesorone) è in seguito stato ridotto. Dal 2008 la Banca centrale svizzera dispone di una riserva d’oro di 1040 tonnellate.
Il bicchiere di vino
Dove si trova tutto questo metallo giallo? Il tema ha cominciato a suscitare discussioni nel parlatoio federale nel 2003. Un deputato (tra l’altro $ocialista) chiese lumi sulla sua ubicazione nell’ora delle domande. Il liblab Kaspar Villiger, ai tempi ministro delle finanze (qualcuno se lo ricorda ancora?) rispose che non lo sapeva e nemmeno voleva saperlo, per evitare che “l’informazione gli saltasse fuori in pubblico dopo un bicchiere di vino di troppo” (sic!).
Anche la Lega dei Ticinesi, per il tramite di chi scrive, ha a più riprese sollevato la questione con atti parlamentari dal 2011 via. Si trattava non solo di avere informazioni, ma anche di sollecitare il ritorno in patria dell’oro della BNS.
E il resto?
Per quel che riguarda l’ubicazione, si è nel frattempo saputo che un po’ più della metà delle 1040 tonnellate di metallo giallo si trova in Svizzera. Il resto? “La Banca nazionale svizzera verifica periodicamente la distribuzione geografica delle sue riserve auree e l’adegua agli sviluppi attuali. Tuttavia, in linea con altre banche centrali, per due ragioni non rende noti gli esatti luoghi di custodia delle riserve. In primo luogo, qualora venissero comunicati tali luoghi bisognerebbe pure informare costantemente sui cambiamenti necessari a seguito delle periodiche verifiche effettuate dalla BNS. Ogni comunicazione relativa al ritiro di oro da un determinato Paese desterebbe attenzione a livello internazionale e potrebbe generare instabilità sui mercati finanziari; in secondo luogo, il trasporto di oro, delicato dal punto di vista della politica di sicurezza, non potrebbe essere eseguito in maniera discreta se i luoghi di custodia fossero di dominio pubblico”. Il passaggio è ripreso da una risposta del Consiglio federale ad un’interpellanza presentata dal sottoscritto nel 2011.
Prima della votazione sull’iniziativa popolare “Salviamo il nostro oro” citata sopra, si è anche saputo che i principali paesi depositari erano Gran Bretagna e Canada. Nel frattempo sono però trascorsi otto anni.
Rimpatri un po’ ovunque
Nella seconda metà dello scorso decennio in vari Paesi europei (ma non solo) il rimpatrio dell’oro delle relative banche centrali è stato argomento di confronto politico. Se ne è parlato in Germania, in Francia, in Italia. La Germania ha rimpatriato quasi 700 tonnellate di metallo giallo. Nella stessa direzione si sono mosse Olanda e Polonia, come pure altri paesi dell’Est europeo.
La Gran Bretagna è depositaria di ingenti quantitativi di “oro sovrano” (anche svizzero), appartenenti ad una settantina di nazioni (apperò). Nel 2019, quando la Brexit era stata votata da 3 anni ma non ancora attuata, Londra oppose un njet alla richiesta del Venezuela di riconsegnare a Caracas l’oro custodito nei forzieri britannici. In effetti ai tempi erano una decina gli Stati che, per un motivo o per l’altro, non riuscivano a far rientrare il proprio oro da Londra o da New York.
Si può bloccare
L’accaduto dimostra che i Paesi dove si trova l’oro svizzero possono tranquillamente bloccarlo. Ciò potrebbe succedere in particolare in caso di crisi economica e di tensioni internazionali. Al momento è in essere la peggiore costellazione possibile. In Europa è tornata la guerra convenzionale, non si sa come andrà a finire ed a quali scenari internazionali porterà. E c’è la crisi economica da stramaledetto virus cinese, che si sommerà a quella provocata dal conflitto ucraino e dalle conseguenze delle sanzioni alla Russia (effetto boomerang).
Nell’attuale situazione di “profonda incertezza, l’oro sovrano è tornato ad occupare un ruolo chiave per Stati e mercati. Sia come riserva di valore in caso di crisi valutaria o sistemica, sia come garanzia collaterale per gli investimenti speculativi o per il bilanciamento dei rischi di portafoglio”. Questo lo scriveva il Sole 24 ore tre anni fa. Ovvero in un tempo in cui sia la pandemia che l’invasione russa dell’Ucraina erano ancora al di là da venire.
Se nel 2019 la situazione era di “profonda incertezza”, immaginiamoci allora com’è oggi.
Senza contare che la progressiva de-dollarizzazione dell’economia mondiale, conseguenza della crescente potenza cinese, rende l’oro un bene rifugio sempre più importante.
In ostaggio
Il rimpatrio dell’oro della Banca nazionale svizzera deve dunque tornare con urgenza sul tavolo della politica. Con gli attuali chiari di Luna non è proprio il caso di lasciare il nostro “tesoro” in ostaggio di paesi stranieri. Essi sono amici e sicuri solo sulla carta. La situazione, ormai dovremmo averlo imparato, può cambiare molto rapidamente.
Lorenzo Quadri