Il Consiglio di Stato abbia finalmente il coraggio di saltare il fosso

Il nuovo accordo con l’Italia è stato spazzato via dalle elezioni. E quello in vigore da oltre 40 anni non ha più ragione di esistere. Intendiamo continuare a regalare soldi al Belpaese all’infinito? 

Ormai è evidente che il nuovo accordo con il Belpaese sulla fiscalità dei frontalieri non vedrà mai la luce. Malgrado se ne favoleggi da anni e malgrado i ministri svizzerotti, con i relativi tirapiedi, si siano fatti prendere per i fondelli dalla controparte per un lasso di tempo tale da meritare il guinness dei primati.

Dopo le elezioni di due settimane fa, l’Italia ci metterà mesi a formare un nuovo governo – se mai ci riuscirà. E inoltre, visti i rapporti di forza, non ci vuole il Mago Otelma per prevedere che  eventuali governi che verranno formati non avranno certo vita lunga.

E’ evidente che, in una simile situazione di precarietà, la priorità di tutte le forze politiche italiane sarà: non scontentare nessuno! Ed in particolare non scontentare i frontalieri con aggravi fiscali.  Del resto si è già visto che Oltreconfine chiunque faccia un passo verso le richieste elvetiche viene poi esposto al ridicolo come succube degli svizzerotti. Anche Attilio Fontana, neo-governatore della Lombardia, ha dichiarato che bisogna fare tabula rasa del nuovo accordo: e la voce della Lombardia, a Roma conta.

Del fatto che tra frontalieri, padroncini, distaccati ed i loro familiari ci siano a occhio e croce 400mila cittadini lombardi che hanno la pagnotta sul tavolo grazie al Ticino, nessuno al di là del confine si preoccupa. Tanto si sa che gli svizzerotti non osano far valere la propria posizione di forza per paura di venire additati come razzisti dai petulanti politicanti d’oltreconfine.

Resta il fatto che l’attuale accordo sulla fiscalità dei frontalieri, penalizzante per il Ticino, da anni non ha più ragione di essere. Perché, come sappiamo, esso era il prezzo da pagare ai vicini a sud affinché accettassero il segreto bancario. E in ogni caso dal 1974, data della sottoscrizione dell’accordo, ad oggi, è cambiato il mondo. L’accordo va quindi disdetto. Non solo perché i suoi presupposti non sono più dati. Ma anche perché i ristorni non vengono utilizzati in modo conforme dagli italici beneficiari, cosa che i diretti interessati ammettono candidamente. Inoltre, niente dura per sempre, men che meno i trattati internazionali.

E’ il turno del Ticino

La disdetta dell’accordo sulla fiscalità dei frontalieri comporterebbe anche la decadenza della convenzione di doppia imposizione tra Svizzera e Italia? Prima di tutto, questa è un’ipotesi formulata da alcuni. Non una certezza. Ognuno la racconta come vuole. In ogni caso, se anche fosse, la convenzione contro la doppia imposizione è nell’interesse di entrambe le parti e nulla vieta di rinegoziarla.

Il Consiglio federale dovrebbe dunque disdire l’accordo sui frontalieri. E’ chiaro che non lo farà mai, perché l’obiettivo di Berna non è certo farsi valere con il Belpaese, bensì andare d’accordo servendosi dell’unica strategia conosciuta ai camerieri dell’UE: quella della calata di braghe. E allora il Consiglio di stato deve finalmente fare la sua parte e bloccare il versamento dei ristorni. Questa volta gli esponenti della partitocrazia in Consiglio federale non potranno nemmeno tentare il ricattto con la storiella che una simile “azione sconsiderata” (uhhh, che pagüüüraaa!) metterebbe in pericolo l’imminente conclusione dell’accordo con l’Italia, perché questo accordo è stato spazzato via dalle elezioni.

E’ ora di rendersi conto che è il Ticino a fare da valvola di sfogo per la crisi occupazionale lombarda e non certo il contrario. L’invasione è da sud verso nord e non nel senso inverso. E poi: qualcuno  è così pollo da credere che, se fosse l’Italia a dover versare dei ristorni al Ticino, non avrebbe già trovato da un pezzo la scusa per smettere di pagarli? Ecco, allora vediamo finalmente di scendere dal pero. Giugno, termine per il versamento dei ristorni dei frontalieri, si avvicina.

Lorenzo Quadri