Sull’ultima edizione del Mattino il Consigliere di Stato leghista Norman Gobbi è tornato a sollevare la questione dei rapporti con l’Italia e dei ristorni delle imposte alla fonte dei frontalieri. Giustamente. In effetti, malgrado già in giugno la ministra del 5% Widmer Schlumpf ed il segretario di Stato de Watteville avessero parlato di conclusione imminente di accordi con la vicina Penisola, non si è a conoscenza di passi avanti compiuti da allora.

Al proposito anche il presidente della Confederazione Didier Burkhaltèèèr, nel corso della recente vista in Ticino (un’operazione di marketing del Consiglio federale a sud delle Alpi) ha solo laconicamente accennato ad accordi che sarebbero sulla buona strada. Peccato che questo ritornello si senta sempre uguale da anni.

Vantaggi per tutti

Un nuovo accordo sui ristorni dei frontalieri, che preveda la tassazione di questi ultimi in base alle aliquote italiane, sarebbe assai vantaggioso anche per l’Italia. Sia in soldoni – e non pare che la vicina Penisola sia nella condizione di potersi permettere di snobbare questo fattore – sia dal punto di vista dell’equità di trattamento tra cittadini italiani. Perché non sta né in cielo né in terra che i frontalieri, i quali guadagnano in proporzione per lo stesso lavoro assai di più dei loro connazionali attivi professionalmente in patria, godano anche di un trattamento fiscale clamorosamente privilegiato.

Perché cambiare…?

Tuttavia è evidente che mettere a posto le cose con la Svizzera non è prioritario per la vicina Penisola. Cosa che non sorprende. Che bisogno c’è di cambiare quando si va benissimo avanti così? Gli svizzerotti fessi continuano ad accettare l’invasione di frontalieri. Gli svizzerotti fessi non limitano neppure la concorrenza sleale dei padroncini a danno dei loro artigiani e piccoli imprenditori. Gli svizzerotti fessi tollerano senza un cip l’iscrizione su liste nere illegali. E, colmo dei colmi, gli svizzerotti fessi continuano a pagare i ristorni, 60 milioni all’anno, basati su un accordo vecchio di quarant’anni che ormai non sta più né in cielo né in terra: come se in questo ridente Cantone il denaro pubblico crescesse sugli alberi.

Il mantra

Dopo il voto del 9 febbraio anche la vicina Penisola si aspettava un cambiamento radicale. Invece, alle prime scontate resistenze degli eurofalliti all’introduzione di limitazioni alla devastante libera circolazione delle persone, i bernesi dalla braga calante si arenano. Del resto il loro obiettivo è dimostrare che applicare il voto popolare “non si può”: il famoso mantra del “margine di manovra nullo”. Lo stesso presidente del Consiglio di Stato ticinese, invece di salire sulle barricate a difesa della volontà popolare espressa dal 70% dei ticinesi, dice che bisogna rivotare. E questa non è libertà d’espressione. E’sabotaggio.

Altri problemi

Che l’Italia abbia poi altri problemi ben più impellenti da risolvere rispetto agli accordi con la Svizzera è ovvio: dagli sbarchi alla crisi economica e – soprattutto – la priorità di conservare cadreghe, privilegi e prebende mentre i governi non eletti si succedono a pochi mesi di distanza uno dall’altro. Solo degli svizzerotti potevano prestare fede a dichiarazioni di volontà di giungere ad intese rapide fatte da ministri o funzionari romani. O forse a Berna non hanno ancora capito che l’Italia è la patria del defunto Andreotti, ed uno dei suoi aforismi più noti era: “Un politico che dice “sì” intende “forse”, un politico che dice “forse” intende “no”, ed un politico che dice “no” non è un politico”. Andreotti non c’è più. Ma la mentalità non è cambiata.
La spada di Damocle

Se le trattative fossero state davvero nelle fasi terminali in giugno, a quest’ora sarebbero già concluse. E’ proprio quando si sta per venire al dunque che i tempi si fanno serrati. Invece appare sempre più chiaro che le trattative sono in realtà sempre nella medesima fase in cui si trovano da anni: ossia in mezzo al guado.

La spada di Damocle del blocco dei ristorni dei frontalieri ha imposto a Widmer Schlumpf e a de Watteville di prendere degli impegni concreti con la deputazione ticinese a Berna. A dimostrazione che il blocco dei ristorni è un’arma efficace. Però, più il tempo passa infruttuosamente, più ci si accorge che non bloccare i ristorni lo scorso giugno è stato un errore. La deputazione ticinese non avrebbe dovuto dare per l’ennesima volta fiducia alla ministra del 5%. Ma la resa dei conti è solo rimandata. La Consigliera federale non eletta, in cambio dell’assenso della deputazione (formalmente e praticamente inutile, visto che a decidere non sono i parlamentari federali ma il CdS) al versamento dei ristorni ha preso degli impegni concreti. La deputazione a Berna ha voluto credere ingenuamente che questi impegni sarebbero stati onorati. Se però non sarà così, non solo Widmer Schlumpf avrà perso ufficialmente la faccia, ma non sarà più nella condizione di chiedere al Ticino di pazientare ancora e di avere ancora fiducia.

I ristorni vengono versati ogni anno a fine giugno. La prossima scadenza arriva in fretta. 
Lorenzo Quadri