Domenica scorsa il 70% dei cittadini ha dato un ordine al governo. Un ordine a cui non si può rispondere con il solito mantra del “sa po’ mia”
Il voto ticinese sull’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” non lascia spazio ad alcun dubbio. Quasi il 70% dei ticinesi ha votato Sì. Questo risultato comporta, ovviamente, un segnale chiarissimo. Anche all’indirizzo del Consiglio di Stato. Dove solo i due esponenti leghisti si sono espressi a favore dell’iniziativa, poi plebiscitata. Gli altri tre hanno invece votato contro, venendo clamorosamente sconfessati dalle urne.
Il segnale chiarissimo è che occorre cambiare registro. Più che un segnale, un ordine. Fino ad ora, la maggioranza del Consiglio di Stato a chi chiedeva misure incisive a tutela del mercato del lavoro ticinese dall’invasione da sud, ha sempre risposto con il ritornello del “sa po’ mia”. E gettando la palla nel campo di Berna. Da Berna, naturalmente, non è venuto un bel niente se non il consueto servilismo nei confronti degli eurofalliti.
Che “sa po’ mia” non è affatto vero. Ma bisogna ragionare come politici e non come contabili. Il governo è lì per quello. Per fare politica. Non serve avere dei rappresentanti del popolo se questi ultimi non portano alcun valore aggiunto ai burocrati: a questo punto lasciamo i burocrati e basta, che si risparmia anche.
Da troppo tempo vediamo una maggioranza governativa che si rifiuta di fare politica – e di assumersi i rischi che questo comporta – ma si ostina ad applicare pedissequamente regole che siamo gli unici a rispettare e che stanno portando il Cantone dritto nel baratro. Il risultato è stato una sconfessione popolare clamorosa. Ma ciononostante questa maggioranza si ostina a rifiutarsi di fare il proprio dovere. Il presidente del Consiglio di Stato Beltraminelli e soprattutto la direttrice del DFE Sadis non hanno cambiato di una virgola il proprio approccio. Siamo al limite del surreale: davanti ad una richiesta di tutela del mercato del lavoro urlata a gran voce da 7 ticinesi su 10, una richiesta che di fatto è – come si diceva – un ordine, l’unica risposta che sa fornire la direttrice del DFE è la seguente perla: “il margine d’azione a livello cantonale è nullo”.
Qui c’è gente che è davvero senza speranza. La storiella del margine d’azione inesistente non se la beve più nessuno. Se i Consiglieri di Stato sono politici e non contabili mezzemaniche, il margine d’azione se lo ritagliano.
Ad esempio: chi l’ha detto che il rilascio di un nuovo permesso G deve avvenire in pochi giorni e che non ci si può mettere tre mesi (mutuando l’esempio italiano)? Chi l’ha detto che le notifiche dei padroncini devono essere evase a tempo di record? Qualcuno pensa forse che dimostrare efficienza nello spalleggiare l’invasione da sud sia un approccio degno di lode? Se è così, è meglio che questo qualcuno faccia fagotto.
Chi l’ha detto che i posti di blocco al confine in funzione antipadroncini non possono essere realizzati un giorno sì e l’altro pure? Chi l’ha detto che non si può tornare a decidere il blocco dei ristorni dei frontalieri? Chi l’ha detto che l’elenco dei padroncini che si notificano non può essere messo online, accessibile a tutti, di modo che anche l’agenzia delle entrate italiana lo possa consultare e quindi andare a batter cassa presso chi – padroncini – al fisco non dichiara assolutamente un tubo? Chi l’ha detto che non si può mettere online ed accessibile a tutti anche l’elenco di chi chiama i padroncini (mai sentito parlare di controllo sociale)?
E questi sono solo alcuni spunti.
Il margine di manovra, insomma, c’è eccome. Anche a livello cantonale. Solo che c’è qualcuno che insiste nel non volerlo vedere. Prendendo a pesci in faccia non già uno sparuto manipolo di leghisti populisti e razzisti, bensì il 70% dei votanti ticinesi. Ossia le stesse persone da cui ha ricevuto l’incarico di sedere in Consiglio di Stato. Nell’economia privata queste situazioni si risolvono con un licenziamento in tronco.
Lorenzo Quadri