Lo psicodramma in atto dimostra quanto la partitocrazia ha impantanato il Cantone
Le difficoltà nel trovare un accordo sull’introduzione del salario minimo dimostrano quanto questo sfigatissimo Cantone sia impantanato a causa della devastante libera circolazione delle persone voluta dalla partitocrazia.
Per i ticinesi servirebbe un salario minino superiore alle cifre previste dal compromesso raggiunto in commissione della gestione del Gran Consiglio: un compromesso che di fatto non accontenta nessuno. Il rischio è che l’operazione si trasformi in un regalo ai frontalieri, col risultato di fomentare ulteriormente l’invasione da sud. E, come sappiamo, grazie al triciclo PLR-PPD-P$$ (Verdi-anguria compresi), siamo già vicinissimi a quota 70mila permessi G.
Senza contare che il salario minimo è facilmente aggirabile. In particolare quando – e spesso è proprio questo il caso – sia chi assume che chi viene assunto proviene dal Belpaese. E quindi avanti con le percentuali taroccate, ovvero: assunzione formalmente al 50%, ma carico lavorativo reale del 100%!
Se si vive in Ticino…
Guadagnare 20 o 21 Fr all’ora se si vive in Ticino è una cosa. Se invece si vive oltreramina la musica cambia. Eccome che cambia! Qualsiasi trattamento paritario tra ticinesi e frontalieri è destinato a creare favoritismi a vantaggio dei frontalieri. Questo a causa della grande differenza del costo della vita al di qua ed al di là del confine.
In più, non serve essere dei premi Nobel per l’economia per rendersi conto che il salario minimo rischia di spingere verso il basso le paghe ticinesi che sono superiori a questo minimo. Quindi: ticinesi più poveri e frontalieri più ricchi.
La soluzione
Una soluzione equa sarebbe quella che fa sì che, a parità di costo per il datore di lavoro, il ticinese ed il frontaliere beneficiassero dello stesso tenore di vita. Questo vuol dire che entrambi ricevono il medesimo salario però, su quello dei frontalieri, per tener conto del minor costo della vita nel Belpaese, lo Stato procede ad una trattenuta. I soldi così prelevati confluiscono poi in un fondo da utilizzare per promuovere l’occupazione dei residenti.
Rischio boomerang
Una cosa è chiara: se il salario minimo non va di pari passo con la preferenza indigena, rischia di trasformarsi in un boomerang per i ticinesi ed in un regalo per i frontalieri. Tanto per fare un esempio: qualche anno fa, quando già si discuteva di un salario minimo di 3000 Fr al mese, il Corriere di Como pubblicò in copertina, a tutta pagina, l’immagine di tre banconote da mille Fr, dipingendo la Svizzera come l’Eldorado. Eldorado solo per i frontalieri, ovviamente.
Via la libera circolazione!
Il salario minimo dovrebbe valere solo per i ticinesi, e dovrebbe essere più elevato di 20 o 21 Fr all’ora: perché con cifre del genere dalle nostre parti non si vive. Ma, in regime di devastante libera circolazione delle persone senza limiti, un salario minimo per soli ticinesi “stimolerebbe” ulteriormente l’assunzione di frontalieri per pagarli meno.
Bisogna quindi impedire l’assunzione selvaggia di frontalieri a scapito dei ticinesi. In altre parole, bisogna ritornare alla preferenza indigena. Altrimenti non se ne esce!
Ci aspettiamo dunque che anche la $inistra sosterrà l’abolizione della libera circolazione delle persone quando in primavera si voterà sul tema.
Se invece gli spalancatori di frontiere ro$$overdi immaginano di prendere per i fondelli il popolazzo raccontando la fanfaluca di aver tamponato il DISASTRO – che loro stessi hanno provocato, assieme alle altre due ruote del triciclo – sul mercato del lavoro ticinese con un salario minimo i cui principali beneficiari saranno i frontalieri, forse non sono bene in chiaro!
Lorenzo Quadri