Rifugiati ucraini: altro che colpevolizzare i ticinesi! La casta si ponga qualche domanda
Quanto accaduto in Turchia con i profughi siriani ci illustra quello che succederà presto anche da noi
Il protrarsi della guerra in Ucraina – per la quale evidentemente la Svizzera non porta alcuna responsabilità – aggrava la crisi umanitaria ed aggrava pure il conto della distruzione. Le città devastate dalle bombe non potranno essere ricostruite in tre giorni. E neanche in tre mesi.
Contrariamente a quanto è stato fatto credere all’inizio del conflitto, l’ipotesi di un rimpatrio in tempi brevi dei profughi ucraini diventa sempre meno realistica.
Il caos della gestione “privata”
La gestione “privata” dell’immigrazione da parte di associazioni di cittadini ucraini residenti in Ticino ha portato ad una concentrazione spropositata di rifugiati ucraini nel nostro Cantone. Soprattutto nel Sottoceneri (Luganese e Mendrisiotto). L’afflusso è pilotato. I rifugiati ucraini arrivano da nord e non da sud. Pertanto, il Ticino avrebbe dovuto essere meno toccato della media nazionale. E’ inoltre noto che alloggi messi a disposizione nella fascia italiana di confine sono stati rifiutati dai profughi. Non si trattava quindi di trovare un posto dove stare al sicuro, bensì di scegliere tra le varie destinazioni possibili.
Oggi sul territorio cantonale è già presente oltre il doppio delle persone previste dalle chiavi di riparto federali (4%). E queste sono solo le cifre ufficiali. E’ ben probabile che un numero importante di profughi non sia ancora stato annunciato come tale, e quindi sfugga ai radar. Infatti, a seguito della gestione “privata” dei flussi migratori, che per settimane ha scavalcato i canali ufficiali, il controllo sul territorio non è più dato.
Tre evidenze
Assume concretezza sempre maggiore la previsione che facevamo qualche settimana fa. Col passare del tempo, i rifugiati saranno sempre meno entusiasti di tornare in un Paese distrutto. Una nazione che, comunque, già prima della guerra non era il paradiso in Terra. Quindi, invece di rientrare in Ucraina, faranno arrivare qui i propri parenti rimasti in patria approfittando della possibilità di ricongiungimento familiare.
L’attuale situazione rende evidenti tre cose:
- Gli ucraini che arriveranno in Svizzera d’ora in poi dovranno passare dai canali ufficiali.
- Al Ticino non devono più essere assegnati profughi.
- Con sempre maggiore urgenza si pone la questione dei privati che hanno messo un alloggio a disposizione dei rifugiati, pensando che sarebbe stato solo per un breve periodo. Adesso che le carte in tavola sono cambiate, non se la sentono di continuare. Se questi profughi dovranno essere ricollocati dallo Stato, è evidente che ciò dovrà avvenire al di fuori del Ticino.
E’ impensabile che il nostro Cantone, quello messo peggio sotto il profilo dell’occupazione e della povertà, si faccia carico in modo permanente di un numero esorbitante di rifugiati. Questi ultimi, infatti, o lavoreranno a scapito dei ticinesi, o saranno a carico dello stato sociale. In ogni caso genereranno costi importanti: sanitari, scolastici, eccetera. I nodi verranno presto al pettine. Ed è inutile che la partitocrazia immigrazionista censuri la discussione, denigrando come “razzista e cinico” chi osa criticare la politica dell’accoglienza indiscriminata, senza limiti né regole, che fa solo danni.
Lo slancio sta scemando
E’ un dato di fatto che l’ondata di solidarietà tra la popolazione sta scemando. Vedi l’annullamento, per mancanza di iscrizioni, dell’evento organizzato dai City Angels “Tutti insieme per l’Ucraina”. O le dichiarazioni di ieri dell’Associazione Garage18, secondo cui le donazioni si sarebbero arenate. Non ne siamo sorpresi. I motivi possono essere tanti. Ad esempio:
- La presa di coscienza, da parte dei ticinesi, di aver fatto moltissimo e quindi di aver “già dato”.
- La preoccupazione dei cittadini per la futura gestione dei rifugiati sul territorio.
- Il sospetto, vieppiù concreto, che non manchino gli approfittatori.
- La percezione che i rifugiati siano stati favoriti in modo inappropriato (abbonamenti generali per i trasporti pubblici in regalo, abbonamenti telefonici in regalo, eccetera) mentre i problemi dei ticinesi siano scivolati in secondo piano.
- Il giustificato timore che andrà a finire come con l’ex Yugoslavia (i profughi resteranno qui vita natural durante) e che in più saremo pure costretti dalla fallita UE a finanziare la ricostruzione dell’Ucraina a suon di miliardi.
- La percezione che l’Ucraina e la guerrafondaia NATO (a partire dal sempre più improponibile rimbamBiden) non abbiano intenzione di chiudere il conflitto in tempi brevi.
- La Svizzera ha rottamato la propria neutralità esponendosi a pesanti effetti boomerang politici ed economici. In cambio, a livello internazionale, abbiamo ottenuto irriconoscenza, sfottò, ricatti e sempre nuove pretese.
- La retorica isterica ed ipocrita di politicanti, giornalai ed intellettualini suscita crescente insofferenza.
Il precedente della Turchia
Nell’edizione del 14 aprile, la NZZ ha pubblicato un interessante articolo sulla Turchia in relazione agli asilanti siriani, che ben preconizza quello che accadrà in Svizzera.
Quando in Siria nel 2011 scoppiò la guerra civile, la Turchia accolse generosamente i profughi siriani, tanto più che i due paesi da tempo intrattenevano intense relazioni commerciali.
Il regime di Erdogan ha definito i siriani fratelli e sorelle, ed ha da subito concesso loro importanti diritti. Anche in quel caso, si partiva dal presupposto che la guerra sarebbe durata poco e che i rifugiati avrebbero fatto presto ritorno in patria. Ma le cose sono andate diversamente. Nel giro di cinque anni, la Turchia è arrivata ad ospitare oltre 3.6 milioni di profughi siriani. Di conseguenza, la politica delle frontiere spalancate ha dovuto giocoforza essere abbandonata. Sul confine con la Siria è stato costruito un muro (ma guarda un po’). La distribuzione squilibrata dei profughi sul territorio turco ha suscitato proteste. Altro malcontento lo ha provocato la pressione sul sistema scolastico (il 47% dei migranti siriani sono minorenni). Risultato: già nel 2019, da un’inchiesta emergeva che l’82% dei turchi interpellati non vedeva alcuna comunanza culturale con i siriani, il 72% reputava la loro presenza nociva per la società turca ed il 60% riteneva che il loro paese avesse fatto fin troppo per i profughi siriani.
Non sembra un copione già scritto?
Lorenzo Quadri