Lugano, Quartiere Maghetti: agenti condannati per aver fatto il proprio lavoro
Una tarda sera dello scorso dicembre a Lugano nel Quartiere Maghetti la polizia comunale è intervenuta a causa di un assembramento molesto. Un giovane iracheno, già noto alle forze dell’ordine, ha reagito in modo aggressivo, strappando l’uniforme ad un agente. Di conseguenza, è stato spinto a terra e ammanettato. Il filmato dell’intervento “robusto” – ripreso da uno dei presenti – è finito online. I soliti noti non hanno perso occasione per strillare allo scandalo.
Cosa si vedeva nelle immagini? Dei poliziotti che facevano il proprio lavoro. Punto. Non certo un caso Floyd in salsa luganese!
Nei giorni scorsi il Ministero pubblico ha emesso una condanna nei confronti di due agenti (per abuso d’autorità e vie di fatto), oltre che del giovane aggressivo.
Da restarci di palta.
Effetto deterrente
Una condanna penale non è cosa che un tutore dell’ordine possa prendere alla leggera. A maggior ragione se inflitta per qualcosa che ha fatto nell’adempimento delle proprie funzioni. E’ chiaro che simili sentenze (e le conseguenze professionali che esse comportano per degli agenti di polizia) hanno un fortissimo effetto deterrente: dissuadono gli agenti dallo svolgere il proprio compito. Se per ogni cip il poliziotto finisce sotto inchiesta penale e condannato, la prossima volta che vede “qualcosa che non va” si girerà dall’altra parte senza intervenire. Chi glielo fa fare di agire se rischia non solo di farsi male (non si sa mai come potrebbero reagire certe persone, magari in stato “alterato”), ma anche di finire sul banco degli imputati? Chi non fa non falla: e la fedina penale resterà intonsa.
Se si vuole una polizia che sta a guardare, andiamo avanti così!
Via Sicura non basta?
Il bidone “Via Sicura” impedisce ai poliziotti di inseguire i delinquenti infrangendo i limiti di velocità; in caso contrario vengono qualificati di “pirati della strada” ed incappano nei rigori della giustizia, che nei confronti degli sfigati automobilisti si mostra sempre inflessibile.
I criminali se la ridono a bocca larga: ma allora la Svizzera è proprio un paese del Bengodi, governato da fessi! Ci stendono il tappeto rosso!
Adesso arrivano le condanne nei confronti di poliziotti rei di aver ammanettano un giovane straniero aggressivo e recidivo.
Il cortocircuito
Quante volte, specie in questo disgraziato periodo di pandemia, abbiamo sentito lamentele a proposito dei giovani che “non rispettano le forze dell’ordine” e che si assembrano in spregio delle disposizioni in vigore? Alla Foce del Cassarate, durante uno di questi assembramenti, c’è stato perfino un lancio di bottiglie contro gli agenti intervenuti sul posto.
Sentenze come quella contro i due “agenti del Maghetti” danno forza ai lanciatori di bottiglie. La polizia viene delegittimata. Il messaggio che passa è scontato: “Tanto i pulotti hanno le mani legate, non possono fare niente”. Sicché i giovani – e meno giovani – che “non rispettano le forze dell’ordine” vengono rafforzati nel loro atteggiamento. E non dal Gigi di Viganello, ma nientemeno che dalla Magistratura (nello specifico, dal procuratore generale).
Siamo al cortocircuito: la giustizia che azzoppa sé stessa.
Questo è il regalo che i magistrati nominati dalla partitocrazia parlamentare in base all’appartenenza politica e con la logica del mercato del bestiame (io do una cadrega a te, tu dai una cadrega a me) fanno alla società. Applausi a scena aperta!
E le bodycam?
Per mettere al sicuro gli agenti di polizia da denunce farlocche che poi magari rischiano addirittura di trasformarsi in condanne, uno strumento utile è la bodycam, ossia la telecamera portata addosso che permette di riprendere tutte le fasi di un’operazione di polizia, così da documentare se sono stati commessi eccessi oppure no. Ma il Cantone sulle bodycam nicchia. Perché?
Lorenzo Quadri