Cassa malati: per il 2023 si prevede la maxi-stangata. Il parere di Bruno Cereghetti
Dopo un anno in cui i premi di cassa malati sono rimasti più o meno stabili, per il 2023 si annuncia una nuova stangata. Come abbiamo letto ad inizio settimana, l’anno prossimo i premi potrebbero aumentare addirittura del 7-9%. Si immagina dunque una crescita vicina alle due cifre. Un fatto inquietante. Specie in considerazione dell’aumento dei costi della vita – energia, materie prime,… – cui dovremo far fronte per i motivi ormai arcinoti.Molta gente che oggi galleggia attorno alla soglia della povertà finirà sott’acqua. E di conseguenza, in un circolo vizioso, smetterà di pagare anche l’assicurazione malattia.
Ma quanto è attendibile una previsione fatta ora, considerando che i premi per il prossimo anno verranno pubblicati a fine settembre?
“L’ultimo dato consolidato – rileva Bruno Cereghetti, già capo dell’Ufficio assicurazione malattia del DSS – riguarda l’esercizio 2021. L’aumento dei costi non risulta catastrofico: si situa sul 5.1% rispetto al 2019. Una crescita del 5.1% sull’arco di due anni non giustifica aumenti di premio vicini alla doppia cifra tra il 2022 ed il 2023. Nel 2020 in Ticino, poi, gli effetti della pandemia sul sistema sanitario hanno addirittura provocato un calo delle spese. E, nei primi mesi dell’anno in corso, non si vede una ripresa dell’attività sanitaria tale da giustificare un’impennata dei premi”.
C’è poi l’annoso tema delle riserve in eccesso degli assicuratori malattia.
La restituzione delle riserve in eccesso è doverosa. Sicuramente aiuta nel contenimento dei premi. Non è però la panacea per tutti i mali. In materia di riserve, occorre mettere in discussione a livello politico anche il calcolo delle riserve minime degli assicuratori malattia, che oggi è eccessivamente generoso. In effetti, le riserve delle casse malati non possono essere calcolatecon il sistema che si applicherebbe ad una banca o a un istituto di previdenza. Le casse malati non falliranno mai: in caso di deficit, possono aumentare i premi l’anno successivo. In caso di estrema difficoltà finanziaria, possono farlo addirittura durante l’anno. E’già successo.
Come mai questa distorsione non viene corretta?
Il problema è sul tavolo da ormai vari anni. Pascal Couchepin, nella fase finale del suo mandato a capo del Dipartimento dell’interno, si era chinato sulla questione ed aveva ordinato una riduzione delle riserve minime. L’operazione però non si fece e, quando al Dipartimento arrivò Burkhalter, ci fu il “ritorno al passato”. Il calcolo delle riserve minime venne sì modificato, ma nel senso gattopardesco del “cambiare tutto affinché nulla cambi”. Burkhalter lasciò il Dipartimento dopo pochi anni, e Berset, che aveva la grande occasione di rimettere tutto entro un regime di ragionevolezza, ha invece ripreso il sistema tale e quale.
Un altro capitolo riguarda la remunerazione dei CEO degli assicuratori malattia.
In effetti, gli eccessi non si vedono solo nelle remunerazioni e neibonus dei CEO, che possono avvicinarsi alle sei cifre. Le esagerazioni riguardano in generale i quadri più elevati, ed anche i consiglieri d’amministrazione. Ci sono presidenti di CdA che incassano emolumenti prossimi ai 400mila Fr all’anno. Nell’ambito dello svolgimento di un mandato federale, questa situazione non è accettabile.
D’altra parte, però, la spesa sanitaria complessiva è tale che la riduzione di questi compensi rischia di essere una goccia nel mare, e di non avere un’influenza percettibile sui premi fatturati ai cittadini.
Come detto, la restituzione delle riserve eccedentarie e la correzione degli emolumenti non bastano da sole a risolvere il problema dei costi dell’assicurazione malattia. Però aiutano. Intervenire in questi ambiti risponde inoltre ad un’esigenza di equità. Ma anche di decenza, ricordando che si tratta pur sempre di un servizio essenziale verso la popolazione.
Il macro-problema è come declinare i costi della malattia in premi di cassa malati, appurato che alla fine è sempre il cittadino a pagare: o tramite premi, o tramite imposte. Si tratta di trovare la via per ridare sostenibilità al sistema, assicurando nel contempo che i cittadini non soffochino sotto il peso dei premi
Al momento sul tavolo della politica ci sono in sostanza due proposte: il freno alla spesa sanitaria, portato avanti dal PPD, e l’inserimento di un tetto massimo ai premi, che non dovrebbero superare il 10% del reddito dell’assicurato, postulato dal PS. Personalmente non sono favorevole a nessuna delle due piste. Il freno alla spesa, evidentemente, è l’anticamera del razionamento delle cure. Il limite del 10% “suona bene”, ma la sua messa in pratica comporterebbe complicazioni tali da destinarla al fallimento.
Cosa si può fare allora?
Ritengo che i premi vadano calmierati con un intervento dall’alto. Ovvero, la Confederazione versa una cifra alle assicurazioni malattia che serve per abbassare i premi per tutti.
Non si tratterebbe di un classico “sussidio ad innaffiatoio”?
E’ vero che anche i ricchi ne beneficerebbero; ma ancora di piùessi alimenterebbero lo sgravio. I soldi pubblici che verrebbero usati per abbassare i premi non nascono dal nulla: provengono dalle imposte, ed i ricchi ne pagano più degli altri.
Un altro provvedimento che sostengo da tempo è quello di dare maggiore flessibilità al sistema, restando però sempre nell’ambito del diritto sociale. Quella che viene comunemente chiamata “assicurazione di base” è di fatto già la totalità dell’assicurazione. Al singolo andrebbe invece lasciata maggiore libertà di costruirsi una copertura adatta alle sue esigenze. Non però riducendo l’assicurazione cosiddetta “di base” e trasferendo prestazioni nelle complementari attuali. Queste ultime sono infatti rette dal diritto privato, dunque consentono agli assicuratori di fare utili e di escludere i cattivi rischi. Occorrerebbe invece riportare il tutto sotto il diritto sociale, anche le assicurazioni facoltative, così da evitare l’esclusione di intere fasce di popolazione.
Lorenzo Quadri