Dopo il caso degli otto frontalieri truffatori: se un domani la disoccupazione…
E’ notizia recente: otto frontalieri, titolari di regolare permesso G, lavoravano in Ticino, ma contemporaneamente nel Belpaese erano a carico della disoccupazione (o meglio: della prestazione sociale analoga alla nostra disoccupazione, la cosiddetta NASPI) e ne percepivano le rendite. L’andazzo si è protratto per anni, tant’è che le prestazioni indebitamente percepite ammontano a parecchie centinaia di migliaia di euri.
L’abuso è stato scoperto, si legge sui media, a seguito di “controlli incrociati di banche dati e di verifiche documentali”. Ohibò, c’è da restarci con il naso in mezzo alla faccia.
Per scoprire una truffa tanto plateale (lavori – e nemmeno in nero, ma con regolare permesso, quindi alla luce del sole – in uno Stato, mentre a pochi chilometri di distanza risulti disoccupato) bisogna procedere a “controlli incrociati di banche dati e verifiche documentali”. Quando l’irregolarità dovrebbe saltare immediatamente all’occhio. Proprio vero che, grazie alla devastante libera circolazione delle persone, i furbetti del quartierino possono incassare indebitamente tanti bei soldoni pubblici senza che nessuno si accorga di niente.
La punta dell’iceberg
Visto che gli otto imbroglioni hanno intascato illecitamente una barcata di soldi statali, eppure non sono stati beccati per anni, e questo malgrado non si siano neanche troppo preoccupati di nascondere le malversazioni, c’è come il vago sospetto (eufemismo) che quanto emerso sia solo della punta dell’iceberg. Ovvero, c’è motivo di credere che di abusi analoghi ne avvengano a tutto spiano!
Non è un passo avanti
E’ vero che nel caso concreto lo Stato truffato non è la Svizzera bensì l’Italia. Ma non è un gran passo avanti. Non sappiamo per chi lavorassero i frontalieri truffatori. Sarebbe il colmo se fossero stati assunti al posto di ticinesi.
Inoltre, e specialmente in futuro, la truffa potrebbe facilmente avvenire anche ai danni della Svizzera. Come noto, infatti, la fallita UE sta cercando di cambiare le regole sulle rendite di disoccupazione dei frontalieri. Obiettivo: far sì che a pagarle non sia più (per la maggior parte) il paese di residenza, come ora, bensì quello dell’ultimo impiego.
Prima o poi…
Il progetto è al momento arenato poiché non ha trovato il consenso necessario a Bruxelles. Ma prima o poi, più prima che poi, verrà estratto dal cassetto. E se l’UE dovesse applicare agli stati membri questa regola, forse che gli svizzerotti – per quanto formalmente non tenuti a farlo – non si adeguerebbero? Figuriamoci! I camerieri di Bruxelles in Consiglio federale, con triciclo PLR-PPD-P$$ al seguito, calerebbero le braghe in tempo di record, paventando chissà quali ritorsioni (?) in caso di disubbidienza! Mica siamo il Lussemburgo che, pur essendo uno Stato membro UE, non solo non versa un centesimo di ristorni, ma pare abbia già ottenuto “a titolo preventivo” eccezioni all’obbligo di dover un domani pagare la disoccupazione ai frontalieri!
Lavoro nero
Il Consiglio federale stesso ha ammesso che, se la Svizzera dovesse essere tenuta a versare la disoccupazione ai frontalieri, ciò comporterebbe una spesa di svariate centinaia di milioni di Fr all’anno. Ma c’è anche un altro aspetto. Come potrebbero le autorità elvetiche controllare che il frontaliere, che alle nostre latitudini risulta disoccupato, in Italia non lavori in nero – o magari nemmeno in nero, ma alla luce del sole? E’ evidente che non potremmo compiere controlli all’estero. E il precedente dei finti disoccupati in Italia ma frontalieri in Ticino, andato avanti per anni, promette i peggiori scenari. Insomma, si annuncia il festival degli abusi, con i furbetti del quartierino tricolore a ridersela a bocca larga degli svizzerotti “che tanto sono fessi e non si accorgono di niente”.
Il menavia
E’ evidente che, nel caso – non certo inverosimile – in cui l’UE dovesse decidere di cambiare davvero sistema sulla disoccupazione, i politicanti bernesi dovrebbero, molto semplicemente, rifiutare di adeguarsi. Il Consiglio federale è ben consapevole che una simile regolamentazione avrebbe pesanti conseguenze. Intende opporvisi? La domanda è stata formulata a chiare lettere. Ma per tutta risposta è arrivato il consueto menavia. Brutto segno.
Lorenzo Quadri