Gli USA decidono quante tasse dobbiamo prelevare alle aziende. Per la casta va tutto bene
Dietro Diktat degli USA vari paesi, tra cui la Svizzera, dovranno aumentare le tasse alle multinazionali. La “famosa” Global Minimum Tax vuole infatti portare al 15% l’imposizione minima per i gruppi con un fatturato a livello mondiale superiore ai 750 milioni di franchetti. Il motivo del Diktat è presto detto: gli States di “Sleepy Joe” Biden si trovano con le finanze pubbliche a catafascio. Di conseguenza vogliono evitare la concorrenza fiscale di altri Paesi che si possono permettere aliquote più attrattive e quindi potrebbero “portar via” contribuenti molto interessanti.
Sovranità asfaltata
Gli USA prescrivono dunque alla Svizzera quante tasse bisogna prelevare ed a chi. Si tratta di una manifesta violazione della sovranità fiscale, che è una componente essenziale della sovranità. Le grandi rivoluzioni della storia (da quella francese a quella americana) sono sorte proprio attorno al diritto di prelevare imposte (ed al quantitativo di imposte prelevabili).
Ma naturalmente i politichetti ed i giornalai che starnazzano sulla sovranità dell’Ucraina dopo aver passato il tempo a rottamare quella svizzera, al proposito non hanno nulla da dire.
Per portare l’aliquota fiscale minima per le multinazionali al 15% occorre una modifica costituzionale, quindi una votazione popolare. Essa è prevista per il giugno 2023. Questo perché per inizio 2024 la nuova tassazione delle multinazionali deve essere in vigore. Se gli svizzerotti non si fanno trovare pronti, le sedi delle multinazionali presenti su territorio elvetico verranno tassate comunque al 15%, solo che l’incasso andrà ai paesi sede: quindi noi ci perdiamo.
Ci dettano pure i tempi
Una tempistica come quella testé indicata, per la democrazia svizzera è a dir poco “sportiva”: come detto, è frutto dell’ennesimo “ordine di marcia” straniero. Anche la consultazione del governicchio federale sul decreto d’imposizione delle multinazionali durerà poco più di un mese invece dei tre canonici.
Quali saranno le conseguenze per la Svizzera della fiscalità imposta dagli USA? Ci vorrebbe la sfera di cristallo per prevederlo. Teoricamente, per l’erario le entrate dovrebbero aumentare. E’ però assai verosimile che certe multinazionali lasceranno la Svizzera se questa non sarà più concorrenziale dal punto di vista fiscale. Si trasferiranno dove i costi della vita e gli stipendi sono inferiori. E allora, addio indotti.
In Ticino le aliquote per le aziende sono già superiori al 15%. Nel nostro Cantone, inoltre, di filiali di aziende con fatturato superiore ai 750 milioni ce ne sono ben poche.
Tuttavia il sistema fiscale è grandemente interconnesso.
Chi ci guadagna?
Se la nuova imposizione dovesse portare ad un aumento del gettito d’imposta, a chi andrebbero le maggiori entrate? L’idea di Berna è di lasciarle ai Cantoni dove si trovano le imprese. I $inistrati per contro, essendo nemici del federalismo (oltre che della neutralità e della sovranità svizzera), si dimostrano più papisti del Papa: vorrebbero che se li tenesse la Confederella. Ovviamente per sperperarli in regali all’estero, in prestazioni sociali deluxe a finti rifugiati, ed in altre amenità di questo genere.
D’altra parte, se le eventuali maggiori entrate (ammesso e non concesso che ce ne saranno: potrebbe accadere anche l’esatto contrario) rimanessero ai Cantoni dove si trovano le aziende, questi potrebbero impiegarle per abbassare le imposte alle persone fisiche, attirando quindi un numero sempre maggiore di buoni contribuenti (non solo i manager delle aziende che verranno tassate di più).
Il nodo della perequazione
Saranno poi da valutare le eventuali conseguenze sulla perequazione finanziaria. A questo capitolo, il Ticino lamenta da parecchio tempo di venire bistrattato. Il tema è stato sollevato più volte. L’ultimo scritto del CdS a Berna al proposito risale a metà febbraio.
In materia di perequazione finanziaria, il Ticino è “al limite”: qualche volta si trova tra i Cantoni paganti, qualche volta tra quelli riceventi. Negli ultimi anni ha ottenuto in media una cinquantina di milioni. Un contributo che è però insoddisfacente. Questo perché le regole attuali non considerano adeguatamente le caratteristiche ticinesi.
Come Cantone interamente collocato a sud delle Alpi, il nostro ha infatti poche possibilità di collaborazione con altri. Poi c’è l’impatto del frontalierato: i calcoli federali non tengono abbastanza conto del fatto che il reddito dei frontalieri non rimane in Ticino. La contiguità territoriale con l’Italia in regime di confini spalancati voluto dalla partitocrazia fa aumentare le spese per la sicurezza (criminalità transfrontaliera). E si pone pure la questione della morfologia del territorio, che presenta ampi declivi. Nel senso che l’altitudine dei nuclei abitati è molto variabile. Si va dai 200 metri d’altezza ad oltre mille. Ciò comporta costi di gestione territoriale accresciuti rispetto a Cantoni che si ritrovano con altitudini mediamente maggiori, ma con meno sbalzi.
Gridano vendetta
Il tema della perequazione finanziaria è estremamente complesso. La coperta è sempre quella. Se un Cantone ottiene di più, ce ne sarà qualche altro che ottiene di meno.
Oggi il maggior beneficiario della perequazione è il Canton Berna, che incassa qualcosa come un MILIARDO all’anno. Segue il Vallese con 800 milioni, davanti a Friburgo (con 537 milioni) e ad Argovia (482). I nostri vicini grigionesi ricevono 268 milioni.
Davanti a queste cifre stratosferiche, gli ondeggianti 50 milioncini cantonali paiono poca cosa. Il miliardo bernese, in particolare, grida vendetta. Non stiamo infatti parlando di una regione depressa e sfigata, del terzo mondo della Svizzera, bensì del Cantone che ospita la capitale federale!
Quali effetti “a catena” potrebbe avere la nuova fiscalità delle multinazionali che ci viene imposta dagli USA, rimane dunque un mistero.
Lorenzo Quadri