La spesa sociale continua a schizzare verso l’alto. L’esempio di Lugano è emblematico. La spesa complessiva per l’assistenza (ovvero la quota a carico del Comune più quella a carico del Cantone) naviga sui 24 milioni di Fr, per una città di 70mila abitanti. L’assistenza diventa sempre meno un aiuto transitorio per trasformarsi in una rendita di lunga durata. A livello cantonale la situazione è la medesima. I casi d’assistenza sono circa 8500. Però i produttori seriali di rapporti taroccati della SECO ci dicono che va tutto bene, perché dalle statistiche della disoccupazione “non risulta che…”. Certo che “non risulta”: la grande maggioranza delle persone in assistenza infatti non figura più nelle statistiche della disoccupazione. Se poi si considera che secondo i ricercatori “di regime” chi lavora un’ora al giorno viene considerato occupato, si capisce facilmente che i conti non tornano.
46.7% di stranieri
Ma i conti non tornano neanche per quel che riguarda gli stranieri a carico dello stato sociale. La loro sovrarappresentazione tra i casi assistenziali non è una fantasia populista e razzista. Al livello federale nel 2013 il 46.7% dei beneficiari di prestazioni erano stranieri. Peccato che in quell’anno la popolazione straniera in Svizzera fosse il 23,8% della popolazione. In proporzione dunque gli stranieri in assistenza sono il doppio degli svizzeri.
Le cifre si fanno ancora più spropositate nel settore dell’asilo. Tra chi ha ottenuto lo “status” di asilante, l’83% è in assistenza con punte fino al 91% per quel che riguarda gli eritrei: e stiamo parlando di persone che potrebbero lavorare, ed anzi sarebbero tenute a farlo.
Prolifera l’industria sociale
L’immigrazione nello stato sociale dunque non è certo un’allucinazione collettiva. E’, invece, un’evidente realtà. Una realtà creatasi perché lo stato sociale svizzero è troppo attrattivo. E non solo. E’ anche soggetto a derive sconsiderate. Ci sono piccoli Comuni che si sono visti costretti ad aumentare il moltiplicatore. Non per essersi imbarcati in spese folli come il LAC di turno. A causa della presenza anche di una sola famiglia di asilanti non integrati, che costa alla collettività centinaia di migliaia di Fr all’anno in servizi di supporto, assistenti sociali, e via elencando. Ciò accade soprattutto in Svizzera interna, dove i costi sociali gravano in proporzione maggiore sui Comuni e minore sul Cantone rispetto al Ticino (da noi la suddivisione è 75% Cantone e 25% Comune). Insomma l’industria sociale prolifera. E non solo, ma si autoalimenta. Anche perché è un’importante riserva di posti di lavoro.
Un paio di cosette…
I costi sociali continuano a salire. E questo è un problema di tutti, perché l’infinanziabilità è dietro l’angolo. E allora cosa si farà? Quando non ci saranno più soldi, si taglierà indiscriminatamente su tutti, compresi i ticinesi in difficoltà, per aver “voluto” (sappiamo grazie a chi) mantenere troppi stranieri a nostre spese? Ma non se ne parla neanche!
Ci sono quindi un paio di cosette da fare urgentemente.
La prima è applicare il contingentamento dei frontalieri, ed anche ai padroncini. Perché delle opportunità di lavoro in Ticino devono beneficiare i ticinesi e non chi vive all’estero. Questo è un principio basilare da cui non si scappa. I nuovi permessi G per profili che sono evidentemente reperibili anche da noi – ad esempio impiegati d’ufficio – vanno semplicemente rifiutati (o formalmente o di fatto: basta ricalcare le tempistiche della burocrazia della vicina Penisola).
La seconda è rendere meno attrattivo il nostro stato sociale per gli immigrati. Quindi: nessuna prestazione sociale a permessi B (che ottengono di poter dimorare in Ticino perché autosufficienti economicamente). In ogni caso: niente sussidi se non si è risieduto almeno un “tot” minimo di anni in Svizzera senza chiedere niente a nessuno. Altrimenti è troppo facile. Gli stranieri beccati ad abusare dello Stato sociale vanno immediatamente espulsi. Come peraltro votato dal popolo.
In quanto autorità di prossimità, i Comuni possono senz’altro fare dei primi passi. E’ nel loro interesse, visto che pagano il 25% dei conti dell’assistenza. Primi passi possono essere: sorvegliare il territorio e preavvisare negativamente tutte le domande d’assistenza presentate da titolari di permessi B.
Lorenzo Quadri