Sarebbe questa ciofeca il “cambiamento” con cui la casta si è riempita la bocca per mesi?
La presa per il lato B prosegue! Il 5 marzo scorso i votanti respinsero la “criminale” iniziativa No Billag. In Ticino i Sì all’iniziativa furono tuttavia il 35% (ben al di sopra della media nazionale), ovvero 50mila persone.
Non sono quantificabili, per contro, i famosi “No critici”. Ovvero coloro che hanno respinto l’iniziativa per “permettere alla RSI di continuare ad esistere (?) e di cambiare” (questo il mantra che si è sentito per mesi).
Quotidiani, portali e compagnia cantante erano infesciati di opinioni a sostegno del “No critico”. Opinioni scritte per lo più da politicanti che si sono sempre lamentati della faziosità e dello sbilanciamento a sinistra dell’emittente di regime. Ma che poi, quando si è trattato di venire al dunque e di appoggiare l’iniziativa, hanno calato le braghe, terrorizzati dall’idea che la TV di Stato si sarebbe vendicata boicottandoli. Ovvero non invitandoli più ad oziosi dibattiti con più partecipanti che spettatori: roba da perderci il sonno di notte! E si sa che, quando c’è di mezzo l’ego…
Invece di mantenere le promesse…
Ci sono tutti i motivi per ritenere che i No critici fossero più del 15%; parecchi di più. Che, sommati al 35% di Sì all’iniziativa, fanno una robusta (anche se non quantificabile esattamente) maggioranza di ticinesi. Questi ticinesi si aspettano cambiamenti tangibiliin casa RSI. Del resto, nel 2015 la maggioranza dei votanti di questo sfigatissimo Cantone respinse la nuova Legge sulla radiotelevisione (quella che prevede il canone obbligatorio).
Ma al posto di mantenere le promesse, ecco che la SSR se ne esce con la “cagata pazzesca” (cit. Fantozzi) del cosiddetto “Piano R” (uella), dove R può stare solo per “Ridicolo”. Esso prevede, per la RSI, la soppressione di 43 posti di lavoro nei prossimi anni. Evidentemente tramite le normali fluttuazioni (pensionamenti e partenze). Visto che i posti di lavoro tra Comano e Besso sono 1200, è chiaro che quello che viene venduto come “un taglio” non è affatto tale. E chissà se il Piano R(idicolo) avrà almeno delle ripercussioni sui pensionati d’oro della RSI che continuano imperterriti a lavorare per la TV di Stato, e non certo a titolo grazioso?
Zero
A parte questa misuricchia di risparmio, del famoso cambiamento strombazzato prima del 5 marzo non si vede assolutamente nulla. Zero. Al contrario: la propaganda di regime pro-pensiero unico (sì all’UE, frontiere spalancate, multikulti, sostegno ai finti rifugiati con lo smartphone che “devono entrare tutti”, eccetera) e sempre contro gli odiati populisti, imperversa alla grande.
Chiaro: quando l’86% dei giornalisti è di centro-sinistra, non ci si può attendere altro. Addirittura, la nuova concessione alla SSR (grazie Doris!) prevede “più attenzione ai cittadini con un passato migratorio”; come se non ne ricevessero già abbastanza!
Evviva! Siamo costretti a pagare il canone più caro d’Europa per fare una radioTV per stranieri. Ancora una volta, grazie alla casta spalancatrice di frontiere, sono gli svizzeri a doversi adattare ai migranti invece del contrario. Ma questa è la logica della partitocrazia, imbesuita dal politikamente korretto e dallo stolto mantra del “dobbiamo aprirci”.
Manovra diversiva
L’enfasi messa sui 43 posti cancellati è, evidentemente, uno specchietto per le allodole. Alla Pravda di Comano non ci sarà un solo licenziamento. Nemmeno tra le folte schiere di pennivendoli residuati dell’ormai asfaltata $inistra italica, che hanno trovato nelle sovradimensionate redazioni della RSI “ul signur indurmentàa”; sicché ci tettano dentro con collaborazioni di vario ordine e grado, ma tutte profumatamente remunerate con i nostri soldi.
In altre realtà si licenzia alla grande senza che nessuno – in particolare i politicanti – faccia un cip. E men che meno lo fa la RSI.
Unica possibilità
Tutto come previsto, dunque. Coloro che hanno votato “No critico” all’iniziativa No Billag sono stati sontuosamente presi per i fondelli: ecco cosa succede a fidarsi delle promesse dell’emittente di regime.
Per cambiare sul serio c’è una sola possibilità: l’iniziativa popolare per portare il canone a 200 Fr. Si spera che l’iniziativa venga lanciata presto, perché ce n’è oltremodo bisogno. Intanto un abbonamento a Netflix costa meno di 12 franchi al mese (meno di 144 Fr all’anno), ed offre una scelta praticamente sterminata di film, serie TV, documentari di alto livello, ed altro ancora. Senza i telegiornali, certo. Ma per informarsi, al giorno d’oggi, non c’è di sicuro bisogno della SSR, della sua faziosità e dei suoi lavaggi del cervello.
Lorenzo Quadri