Numeri irrisori spacciati per successi epocali: quale lo scopo della manipolazione?

Per qualche strano motivo, sulla stampa di regime continua a ricevere spropositata attenzione la petizione con cui alcuni politicanti, candidati al Gran Consiglio, chiedono di cambiare le regole di nomina del vescovo di Lugano. In concreto, si tratterebbe di modificare la Convenzione del 1968 in base alla quale il vescovo deve essere “ressortissant tessinois”. I petenti vogliono dunque spalancare la porta a dei vescovi balivi, digiuni della realtà ticinese. Già i ticinesi si allontano sempre più dalla chiesa. Con una simile novità, l’emorragia di fedeli non potrà che peggiorare. Oltretutto, sarebbe buona cosa che i politichetti ticinesi si occupassero delle questioni che ricadono nel loro ambito di competenza. Ciò che non è manifestamente il caso della nomina del vescovo. Se a pensar male si commette peccato ma ci si azzecca quasi sempre, la petizione ha tutta l’aria di essere un tentativo di bloccare la strada a qualche vescovabile “sgradito”, rispettivamente di pistonare qualcuno di “gradito” agli ambienti dei promotori. Lotta di potere tra le correnti interne alla Curia, con dei politicanti a fare da prestanome?

Enfasi ridicola

Insospettisce assai l’entusiasmo di certa stampa mainstream, ed in particolare del Corriere del Ticino, nel supportare la petizione. A metà marzo, un articolo di quasi una pagina, redatto da un giornalista “non patrizio di Corticiasca”, si sdilinquiva con toni ridicolmente enfatici: “Oltre 2200 firme”; “incontro storico a Berna”, “mobilitazione ampia e spontanea”, “moto naturale”, e avanti con le fantasticherie.

Vediamo di rimettere (tanto per restare in tema) la chiesa al centro del villaggio. 2200 sottoscrizioni – a maggior ragione per una petizione (può firmare chiunque) – non costituiscono affatto un’ampia mobilitazione, e nemmeno un “moto”,  bensì una miseria. Per la riuscita di un’iniziativa popolare o di un referendum, servono 7000 firme di persone aventi diritto di voto. Anche sulla spontaneitĂ  ci sarebbe da ridire; gli uccellini cinguettano di tavolini per la raccolta firme piazzati fuori dalle chiese con insistenti inviti a sottoscrivere.

Lo “storico incontro a Berna” (ö la Peppa!), poi, sarebbe quello previsto nei prossimi giorni (4 aprile) tra il “medico italiano” del PLR, il nunzio Martin Krebs ed i promotori. Ovviamente non ne uscirà nulla di concreto. In Ticino i cattolici sono oltre 200mila. E il Vaticano dovrebbe cambiare i criteri di nomina del vescovo di Lugano perché lo chiede l’1% di loro? Siamo seri.

Perfino loro…

Una narrazione giornalistica così schierata e romanzata fa nascere sospetti di connivenza. Da notare che perfino il vescovo emerito Don Mino Grampa (“Don Min(aret)o) e l’arciprete di Chiasso Don Gianfranco Feliciani (“imam”), entrambi assai poco sospetti di leghismo e di primanostrismo, si sono espressi contro l’ipotesi di un vescovo balivo, ritenendo che in Ticino ci siano abbastanza preti: “Non siamo una Chiesa asfittica, non siamo una terra di missione, e la disposizione sulla ticinesità del vescovo serve a preservare il federalismo”, ha commentato Don Mino, aggiungendo che anche la tempistica del tentativo di cambiare le regole è sospetta.

Una cosa è certa: in un Cantone che viene progressivamente svenduto e dove i ticinesi sono ormai ridotti “come gli indiani nelle riserve”, l’ultima cosa di cui c’è bisogno è di istituzionalizzare i vescovi balivi. Vescovi e buoi dei paesi tuoi!

Lorenzo Quadri