Come volevasi dimostrare. Venerdì della scorsa settimana, con un tempismo davvero notevole, l’Istituto ricerche economiche (IRE) se ne è uscito con uno studio tarocco, secondo il quale in Ticino quasi 50mila frontalieri, a fronte di 20mila persone in cerca d’impiego, non costituirebbero assolutamente un problema, ma quando mai. Da notare (e non è uno scherzo) che pare che lo studio sia stato allestito da un frontaliere…
Pochi giorni dopo la pubblicazione del mirabolante studio, ovviamente mirato reggere la coda agli ambienti politici “pro-aperture”, “pro-libera circolazione” e “pro-bilaterali” che foraggiano l’IRE, ci pensano i dati dell’Ufficio federale di statistica, di certo poco sospetto di filo-leghismo, a riportare la chiesa (o il minareto) al centro del villaggio. Nel 2010, rileva l’USTAT, i frontalieri sono cresciuti del 5.3% rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 48’248. Da notare che il frontalierato è letteralmente esploso nel settore terziario, che oggi conta 25’290 impieghi. E’ pur vero che nel settore terziario figurano anche i sempre più numerosi dipendenti frontalieri delle agenzie di lavoro temporaneo; e questi ultimi non necessariamente lavorano poi in ufficio. Ciò non toglie che sia proprio il terziario il settore a conoscere l’aumento più rilevante del numero dei frontalieri.
Ovvero, i frontalieri aumentano proprio in quel settore dove di frontaliere non ce ne dovrebbe essere nemmeno uno. Non ce ne dovrebbe essere nemmeno uno, perché le risorse residenti bastano (e avanzano!) a coprire le esigenze del territorio. Cosa si aspetta allora ad inserire dei contingenti per i frontalieri negli uffici? Una sommossa popolare in stile nordafricano?
Ci ha pensato dunque lo stesso ufficio federale di statistica a smentire le storielle dell’IRE. Infatti l’aumento dei frontalieri nel terziario è la dimostrazione lampante che questi ultimi, contrariamente alla tesi dei ricercatori frontalieri dell’IRE, portano proprio via il lavoro ai ticinesi.
Ora, è ovvio che i frontalieri, come tutti, hanno bisogno di guadagnare la pagnotta e quindi cercano il lavoro dove lo trovano. E se possono proporsi a prezzi inferiori, anche a seguito dell’euro basso, non stupisce che giochino pure questa carta. La colpa non è dei lavoratori, la colpa è di chi ha permesso che si creasse questa situazione di guerra tra poveri, da cui i ticinesi sono fatalmente destinati ad uscire perdenti. I responsabili sono noti: tutti i partiti $torici, i loro esponenti nei gremi politici, il padronato ed i sindacati.
Ma non è ancora finita, perché a sconfessare ulteriormente lo studio dell’IRE arrivano pure i dati sulla disoccupazione. I quali dicono due cose:
1) che in Ticino nel 2010 sono stati creati 3000 posti di lavoro in più;
2) che nonostante questi 3000 posti di lavoro in più i disoccupati non sono calati, anzi.
Come si spiega questa contraddizione? Facile. I posti di lavoro creati in Ticino non sono stati occupati da Ticinesi.
E, si badi bene, questa volta a dirlo non sono i soliti leghisti razzisti e xenofobi.
Riportiamo uno stralcio dell’intervista a Sergio Montorfani, capo della sezione del lavoro del DFE, pubblicata martedì su Ticinonline.
Domanda: A chi sono andati questi 3000 nuovi posti di lavoro?
Risposta: Si può presumere ai frontalieri. Sappiamo che l’anno scorso sono aumentati di 3000 unità, cifra che corrisponde all’aumento dei 3000 posti di lavoro in Ticino.
A questo punto ogni commento diventa superfluo. Una domanda però s’impone: ma è giustificato continuare a foraggiare l’IRE, visti i risultati?
Lorenzo Quadri