Altro che “pluralità”! Il pacchetto di aiuti ai media serve a finanziare l’omologazione

Il 13 febbraio voteremo sul cosiddetto “pacchetto di aiuti ai media”. Si tratta di una somma di circa 150 milioni di franchetti all’anno (soldi del contribuente) con cui la partitocrazia federale vuole foraggiare la stampa amica.

Il pacchetto dovrebbe avere una durata limitata a sette anni (nb: 150 milioni all’anno per sette anni fanno comunque più di UN MILIARDO): una storiella a cui, ovviamente, non crede nessuno. Le sovvenzioni sono come le tasse: una volta introdotte, diventa impossibile levarle. Anzi: col tempo aumentano.

Quanto vogliono mungerci?

In Svizzera già esiste una tassa sui media: il canone più caro d’Europa. Il cittadino è costretto a mantenere la ro$$a SSR versandole oltre 1.2 miliardi di franchetti all’anno. E allora, quanti soldi intende ancora estorcere la partitocrazia ai contribuenti per finanziare i propri megafoni mediatici?

Già questa considerazione basterebbe da sola per votare NO ad ulteriori sussidi alla stampa di regime.

Stampa di regime

“Chi paga comanda”. Piaccia o non piaccia, così va il mondo. I media non fanno eccezione. Una stampa foraggiata dallo Stato diventa una stampa di Stato.

Oltralpe nelle scorse settimane ha fatto parecchio rumore la fuga di notizie sulle esternazioni di Marc Walder, CEO di Ringier. Ringier è il più grande gruppo editoriale svizzero, proprietario tra l’altro del Blick e del SonntagsBlick, attivo anche a livello internazionale. Il buon Walder ha imposto alle “sue” redazioni di puntellare la politica del governicchio federale in materia di stramaledetto virus cinese. Questa è stampa di regime allo stato puro. Roba da fare invidia alla Corea del nord. E il cittadino dovrebbe pagare ancora di più per finanziare simili media? Ma anche no!

Attaccarsi alla mammella

Gli editori non fanno beneficienza. Alla maggior parte di lorointeressa attaccarsi alla mammella pubblica. Se poi (come nel caso del pacchetto in votazione il 13 febbraio) i sussidi sono (teoricamente) a tempo determinato, l’obiettivo diventa quello di assicurarsi il rinnovo della manna. Per questo serve la benevolenza della politica. Che va conquistata con la piaggeria, con i servizi slinguazzanti, con le interviste in ginocchio. La NZZ, uno dei quotidiani più antichi ed autorevoli del Paese, è contraria ai sussidi ai media, poiché i soldi pubblici generano asservimento.

Nelle tasche dei ricconi

Il 70% dei nuovi aiuti finirebbe nelle capienti tasche dei grossi gruppi editoriali. Quelli che realizzano utili di centinaia di milioni di franchi all’anno. Anche in tempo di crisi pandemica. I loro titolari posseggono ville hollywoodiane, castelli, yacht. E il contribuente dovrebbe foraggiare con i propri soldi dei tycoon ricchi sfondati?

Ai piccoli editori andrebbero le briciole. E queste, è chiaro, non salverebbero nessuna testata dalla chiusura.

Vogliono finanziare l’omologazione

La partitocrazia si sciacqua la bocca con il politikamente korrettissimo concetto di “pluralità nell’informazione”. Ma non è certo la pluralità che vuole finanziare. Al contrario. Andando ad ingrassare i grossi gruppi editoriali, rafforza le posizioni di monopolio e toglie spazio ai prodotti innovativi.

Plateale e rivelatrice la scelta deliberata di tagliare fuori le pubblicazioni gratuite – sia cartacee che online – dal pacchetto di aiuti, adducendo pretesti-fregnaccia. La realtà è che le pubblicazioni gratuite non sono considerate sufficientemente allineate al pensiero unico mainstream. Quindi non sono meritevoli di sostegno. Il pacchetto sui media serve alla partitocrazia ($inistrati in primis) per ricompensare i giornalai amici, comprandone la fedeltà.

Misura anticostituzionale

Il pacchetto contiene anche 30 milioni di franchetti all’anno per imedia online. Ma in quest’ambito non servono interventi statali. Perché il mercato funziona: i portali spuntano come funghi. Oltretutto, la Commissione federale contro la concorrenza è contraria a questo sussidio. Ed i finanziamenti all’online sono “di dubbia costituzionalità” (ovvero: sono anticostituzionali). Nel 2018 l’allora direttora uregiatta del DATEC Doris Leuthard dovette rinunciare alla “promozione” dei media online proprio per questo motivo. La Costituzione nel frattempo non è cambiata.

La propaganda della casta

In conclusione, dunque, con il pacchetto di aiuti ai media la partitocrazia non intende finanziare la pluralità dell’informazione,bensì la sua uniformazione al pensiero unico politikamente korretto. I soldi dei contribuenti finirebbero in massima parte nelle capienti tasche di tycoon multimilionari. La casta non vuole affatto un’informazione pluralista; vuole un’informazione asservita tramite i soldi dei contribuenti. La casta ed in primis la $inistra. Il P$, infatti, sogna di potenziare ulteriormente la SSR, dato che quest’ultima fa propaganda elettorale per i ro$$overdi. I $ocialisti vorrebbero trasformare il panorama mediatico svizzero in quello dell’URSS. E poi i kompagni hanno ancora il coraggio di sciacquarsi la bocca con la “pluralità”? Ma andate a Baggio a suonare l’organo!

Lorenzo Quadri